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CEFALEA: UNA VISIONE PSICOSOMATICA

La cefalea è un dolore al capo che almeno una volta nella vita la gran parte di noi ha provato.

A seconda della forma che assume può coinvolgere la regione cranica, il cuoio capelluto, il viso o il collo. Può essere passeggera e di lieve intensità o profondamente debilitante nella sua permanenza e gravità. Può presentarsi con sintomi sgradevoli come nausea, vomito, dolori pulsanti o continui alla testa, al viso, al collo o fastidio nell’entrare in contatto con stimoli esterni (suoni, rumori e luci).

Se ha origini vascolari, osteomuscolari, ormonali, alimentari o psicoemotive viene classificata come primaria e si manifesta nelle tre forme più diffuse tra la popolazione, quali emicrania, cefalea muscolo tensiva e cefalea a grappolo. Se si presenta come sintomo di una malattia sottostante, o a seguito di un trauma fisico, viene cassificata come secondaria.

Irrompe nelle nostre vite e impedisce il normale svolgimento delle attività quotidiane. Così il lavoro, lo studio e il piacere subiscono delle violente battute d’arresto.

 

La cefalea è un disturbo talmente diffuso che anche la mitologia greca ne descrive un caso.

Zeus, prima di prendere in sposa Era, concepì alcuni dei suoi figli unendosi a  diverse figure femminili. Meti, figlia dei titani Oceano e Teti, divinità del raziocinio e del discernimento, fu una di queste.

Il re dell’Olimpo, dopo essere venuto a conoscenza della profezia secondo la quale il figlio nel grembo di Meti l’avrebbe superato in potenza sottraendogli il trono, decise di porre rimedio. Si avvicinò a Meti fingendo di baciarla, ma con l’intento di inghiottirla. Ella, capace di prevedere l’andamento delle cose, si trasformò in una goccia d’acqua e scivolò dentro a Zeus continuando ad esistere nel suo ventre, infondendo ad esso saggezza.

Zeus, ovviamente, inghiottì anche la creatura di cui Meti era gravida, che trovò come sede ideale per continuare la sua crescita la testa del padre: il luogo del pensiero.

La testa di Zeus cominciò a dolere fortemente fino alla fine della gestazione, momento in cui desiderò ardentemente che gli venisse fatto a pezzi il cranio. Chiese quindi aiuto ad Efesto, il dio che forgia i metalli, che con una scure gli aprì con maestria la testa. Emerse così una figura femminile coperta da un’armatura lucente e munita di lancia e scudo: Atena, la dea della sapienza, elevata nello spirito ed eternamente vergine. Inflessibile e determinata, sempre pronta a combattere con mente lucida, chiarezza e prudenza, disinteressata ed immune all’amore e ai sentimenti.

 

Il mito introduce sapientemente il tema simbolico che caratterizza la cefalea: uno squilibrio psicofisico innescato dal ruolo centrale ed eccessivo assunto dal pensiero, dall’analisi e dal controllo vigile a scapito di sentimenti ed istintualità. Potremmo giocare dicendo che in chi soffre con frequenza di cefalea alberghi un eccesso di Atena.

 

Nell’emicrania le arterie che portano il sangue al cervello si contraggono, impedendo alla vitalità del sangue di fluire liberamente, come a voler contenere e inibire un regno pulsionale troppo intenso e imprevedibile. Successivamente le arterie si dilatano, come se le pulsioni a seguito del tentativo di controllo prendessero il sopravvento rompendo le difese. Le emicranie possono essere innescate da situazioni fortemente emozionali, soprattutto in chi fatica ad accogliere alcune parti di sé rifiutate.

 

Nella cefalea muscolo-tensiva i muscoli del collo e delle spalle si tendono e restano contratti al di là della propria volontà, provocando dolore e senso di costrizione alla testa e agli occhi. Come se la testa ad un tratto cominciasse a pesare oltremisura, richiedendo un grande sforzo per essere sorretta.

Una testa piena di pensieri, preoccupazioni e responsabilità a cui non si riesce, non si può e non si vuole dire no. Un’eccessiva apertura e disponibilità alle richieste e compiti provenienti dall’esterno che pesano come un macigno. Studi clinici hanno osservato una forte componente ansiosa e depressiva nelle persone che soffrono di cefalea.

 

La cefalea può quindi porre le sue radici in un uso smisurato di razionalità, come strategia per prendere le distanze dalla mutevolezza sorpendente che caratterizza le emozioni. Potrebbe portare all’attenzione di chi la soffre il bisogno di difendersi da contenuti inconsci che risulterebbero destabilizzanti.

 

Come affrontare dunque la complessità di questo disturbo?

 

Attraverso pratiche di consapevolezza e tecniche di rilassamento come:

la mindfulness
lo yoga
il rilassamento progressivo di Jacobson

 

Dedicandosi ad attività espressive come:

la danza
il teatro
il canto
la pittura
qualsiasi forma d’arte in generale

 

Può essere di centrale importanza intraprendere percorsi di psicoterapia individuale o di gruppoper comprendere il proprio mondo emotivo-relazionale e accogliere con maggiore facilità i contenuti e le parti di sé che non trovano spazio espressivo nella quotidianità.  Un approccio psiche-soma integrato può sollevare il corpo dall’oneroso compito di manifestare un sintomo portatore di un messaggio che la coscienza non può sopportare.

 

 

Dott.ssa Erika Gerardi

Psicologa-Psicoterapeuta

 

Bibliografia:

Joyce McDougall (1990), Teatri del corpo. Un approccio psicoanalitico ai disturbi psicosomatici, Milano, Raffaello Cortina Editore

Agresta F. (2010), Il linguaggio del corpo in psicoterapia. Glossario di Psicosomatica, Roma, Alpes Italia

Caprioglio V., Fornari P., Marafante D., Morelli F., Parietti P. (2007), Dizionario di psicosomatica, Milano, Edizioni Riza

Fulcheri M., Barzega G. (1995), Stress, depressione e ansia in pazienti cefalalgici. Considerazioni sulla letteratura e dati sperimentali, Minerva Psichiatrica, vol.36, n.1, pagg. 179-185, 2001

 

Asma: una visione psicosomatica

La respirazione è una funzione essenziale per la vita. Pochi minuti senza ossigeno e il nostro corpo muore.

Da una ricerca su Google ho scoperto che attualmente il record mondiale di apnea statica è del croato Budimir Šobat, che con 24 minuti e 33 secondi è entrato nel Guinness World Records. Il mio pensiero si sposta dunque a noi non atleti allenati alle apnee, per cui questo tempo si riduce drasticamente!

Possiamo considerare che l’ossigeno sia la prima fonte di nutrimento essenziale per il nostro organismo, disponibile in larga abbondanza nel mondo in cui viviamo e a cui possiamo accedere con la facilità e l’immediatezza di un’inspirazione. Il nostro corpo a riposo e in condizioni di tranquillità emotiva, si stima compia circa 12 atti respiratori al minuto, perciò idealmente 17.280 in un giorno. Tutto questo accade senza nemmeno accorgerci: il nostro corpo respira autonomamente senza richiedere attenzione alcuna da parte nostra. Molto diverso è per chi soffre di disturbi a carico dell’apparato respiratorio.

Uno tra questi è l’asma, un’infiammazione in molti casi cronica delle vie polmonari. Si manifesta con   broncospasmi e ipersecrezione mucosa, che portano ad una respirazione faticosa, con conseguente tosse, respiro sibilante e senso di soffocamento. L’innesco delle crisi, nelle persone predisposte geneticamente, proviene da stimoli allergici o irritanti o forti stress psico-fisici. Nelle condizioni più gravi può portare anche alla morte.

Secondo l’OMS la diffusione di questo disturbo, nella popolazione di tutto il mondo, è in continuo aumento, e le ragioni si ipotizza possano essere ricercate nello stile di vita sempre più urbanizzato, che spinge a passare molto tempo in luoghi chiusi a contatto con aria spesso stagnante o condizionata, acari, smog e polveri sottili.

Durante la crisi asmatica, la persona sperimenta un’angosciante “fame d’aria”, con tentativi disperati di trattenerla dentro di sé, aggrappandosi alla sostanza esterna vitale, l’ossigeno, che in quel momento sembra non essere accessibile in misura sufficiente per la propria sopravvivenza. Il soffermarsi da parte della persona sulla polarità vitale della respirazione, l’inspirazione, sposta l’attenzione sul bisogno pressante di rimandare a tutti i costi il momento mortifero, abbandonico del lasciare andare l’aria-vita-nutrimento. Questo introduce al tema profondo che caratterizza il disturbo: un conflitto che si gioca sul continuum dipendenza-indipendenza in relazione al mondo nutritivo materno.

Edoardo Weiss, psicanalista, nel 1913 descrisse l’attacco asmatico come espressione di un pianto represso o inibito, che veicola  l’angoscia esistenziale di restare tagliati fuori dalla possibilità di accedere alle fonti di nutrimento e protezione. Da numerosi casi clinici è possibile osservare che chi presenta il disturbo, trovi difficile piangere, quasi come se i mezzi classici per ottenere attenzione, cura e risorse vitali, non fossero percorribili. Si può constatare che molte crisi asmatiche trovano fine con il pianto o il riso. Nell’osservazione della relazione tra madre e figlio asmatico, si rilevano spesso momenti o condizioni di indisponibilità della figura di accudimento per distanza e/o inaccessibilità fisica ed emotiva. Ciò genera nel bambino un “complesso di abbandono”.

Il tema esistenziale di chi soffre di asma è decisamente legato alla dualità vita-morte, che si gioca nella relazione con sé stessi e con l’altro fuori da sé.

I percorsi psicoterapeutici possono essere di grande aiuto in questi casi, per prendere maggiore consapevolezza di sé, familiarizzare con le proprie risorse interiori utili allo sviluppo di una maggiore indipendenza emotiva e per esplorare e fare proprie nuove modalità relazionali.

Bibliografia:

Agresta F., Il linguaggio del corpo in psicoterapia. Glossario di Psicosomatica, Roma, Alpes Italia, 2010

Caprioglio V., Fornari P., Marafante D., Morelli F., Parietti P., Dizionario di psicosomatica, Milano, Edizioni Riza, 2007.

Asma – EpiCentro – Istituto Superiore di Sanità (iss.it)

Asma situazione epidemiologica (iss.it)

Dott.ssa Erika Gerardi

Psicologa – Psicoterapeuta