“Se qualcuno è disposto ad ascoltare le lacrime della madre,
quello sarà anche il momento in cui la madre sarà in grado
di ascoltare il pianto del suo bambino”(Selma Fraiberg, 1999)
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La nascita di un figlio è un evento straordinariamente complesso, carico di significati profondi, coincide con molteplici e talvolta repentine modificazioni, a livello biologico, sociale e psicologico. Si caratterizza come una profonda crisi evolutiva, che implica mutamenti relativi al proprio ruolo sociale, alle proprie relazioni interpersonali e all’intero Sé.
Il passaggio dall’essere esclusivamente “figlia”, ad essere anche “madre” se da un lato è conferma della propria capacità riproduttivo/creativa, dall’altra riattiva una serie di riflessioni, più o meno consapevoli, riguardo all’essere come la propria madre o diversa da lei. Insomma vengono rivissuti e rivisitati conflitti infantili, esperienze relazionali e elementi conflittuali di se stessa figlia con i propri genitori ed in particolare con la propria madre.
Nonostante negli ultimi decenni, drammatici fatti di cronaca abbiamo fatto emergere in tutta la sua drammaticità il dolore, l’angoscia e la solitudine che talvolta le madri vivono, ancora oggi all’immagine di madre si associa l’idea di serenità, gioia, appagamento totale e totalizzante. Nell’immaginario una “brava mamma” deve essere “sempre all’altezza”, amorevole, gentile, empatica e devota ad un neonato bisognoso. Tali aspettative non fanno altro che far sentire la neo mamma, incompresa, sola, incapace e arrabbiata.
Nella realtà quotidiana ci si confronta dolorosamente con l’essere una mamma “imperfetta”, che accudisce il bambino reale, anche lui così diverso dal bambino fantasticato durante i mesi di attesa. Pensiamo ad esempio a come anche un momento come l’allattamento, immagine di tenerezza e amore assoluti, possa per alcune donne trasformarsi in una “messa alla prova”, con conseguente paura del rifiuto, frustrazione, ansia. Il legame mamma/bambino si realizza ed arricchisce in fondo proprio anche grazie a quella “imperfezione” come riporta Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista che ha osservato come i bambini abbiano bisogno nel loro sviluppo proprio di una mamma “imperfetta”. Coniò per questo il termine di madre “sufficientemente buona”, capace sì di dare al suo bambino cure adeguate, ma capace anche, con le sue imperfezioni, di permettere al bambino di vivere piccole esperienze di frustrazione e mancanze che gli permetteranno di confrontarsi con il mondo reale fuori da sè.
Per poter essere accanto al suo bambino la mamma ha anche lei bisogno di essere “accudita” e sostenuta nei primi mesi di vita del suo bambino, ha bisogno di prendere fiducia nelle proprie capacità e ha bisogno che qualcuno spesso le dica “come si fa” e che accolga i suoi vissuti di incertezza, di tristezza, di stanchezza e di inadeguatezza che comunemente fanno fronte in molte neo mamme.
Come abbiamo visto, difficoltà emotive nelle prime settimane dal parto sono diffuse e per certi aspetti fisiologiche, vengono sperimentate da una percentuale di neo mamme che si aggira intorno al 50%, tanto da essere ritenute una normale reazione al parto. Questo insieme di sensazioni che prende il nome di “baby blues” o “maternity blues” si verifica entro le prime due settimane dal parto, con senso di tristezza, tendenza al pianto, stanchezza, irritabilità. La remissione è generalmente spontanea nell’arco di una settimana.
Molto diversa è invece la sintomatologia della psicosi puerperale, il disturbo più grave tra quelli ad esordio nel puerperio che fortunatamente ha un’incidenza molto ridotta. Può presentare mania o depressione, distacco o distorsione della realtà, allucinazioni. In queste situazioni il rischio per l’incolumità del bambino è significativo, nonostante la prognosi sia generalmente favorevole e l’episodio in genere si risolva entro due mesi dalla diagnosi, a patto che venga effettuata una adeguata presa in carico delle pazienti in un approccio integrato mamma-bambino.
Alterazione dello stato emotivo nel post partum che può avere ricadute più importanti sia sulla salute mentale della donna che nella relazione mamma bambino è la cosiddetta depressione post partum, che compare in genere nel corso del primo trimestre dopo il parto o comunque entro il sesto mese, più raramente entro l’anno di nascita del bambino. Si caratterizza per una serie di specifici sintomi depressivi (tristezza, sfiducia, pianto, irritabilità, inadeguatezza), ansiosi (sensazione di allarme, di pericolo, di perdita di controllo), neurovegetativi (disturbi del sonno, incubi, confusione, somatizzazioni, vertigini) e nella relazione mamma-bambino (distacco, mancanza di empatia avversione, disinteresse).
I principali fattori di rischio per questa sindrome includono: pregressi episodi depressivi, deflessione del tono dell’umore in gravidanza, una storia di sindrome disforica premestruale e la presenza di severo maternity blues nel post partum. Recentemente è stata posta una particolare attenzione alla prolungata privazione di sonno o una ridotta qualità del sonno come fattori di rischio significativo per la depressione post partum. Studi epidemiologici hanno riportato come fattori predisponenti oltre a quelli precedentemente citati anche quelli di natura psicosociale, come la presenza di conflitti coniugali o l’assenza di sostegno sociale e familiare, giovane età e bassa scolarizzazione. Questi ultimi elementi fanno riflettere sul bisogno di contrastare l’isolamento e la solitudine delle neo mamme, che hanno bisogno anzi di sapere che intorno a loro c’è una rete familiare, sociale e sanitaria che si può prendere cura di loro.
Come è stato precedentemente illustrato, durante la gravidanza e il puerperio, la donna è particolarmente vulnerabile, dopo il parto alla gioia immensa si associano confusione, paura, stanchezza, angoscia. Diventa difficile per le persone che le sono accanto capire quali possono essere i segali di un malessere più profondo. A volte, sono le donne stesse a sottovalutare o celare il loro malessere: non si sentono in diritto di sentirsi infelici in un momento in cui si ritiene di doversi sentire entusiasta, o, proprio per il fatto di essere tristi, si sentono inadatte come madri. Anche per questo spesso le situazioni più sfumate non arrivano ad essere trattate da specialisti e, val la pena sottolineare, che le depressioni post partum non trattate tendono a recidivare e a cronicizzare, arrivando ad incidere in senso profondo sull’intero funzionamento della personalità della donna, con ripercussioni sul bambino e sulla famiglia.
Non c’è vergogna nel poter essere mamme imperfette e non c’è vergogna nel chiedere aiuto, tutte le difficoltà condivise e portate alla luce sono già in cammino verso la ricerca di una soluzione, ma i vissuti tenuti nascosti, mascherati e ignorati sono invece talvolta un potenziale pericolo trattenuto dentro di sé. I bambini hanno bisogno di mamme serene, capaci di prendersi cura di loro stesse per potersi poi prendere a loro volta cura di loro bambini e, a volte, le braccia sicure e protettive della mamma per restare tali hanno bisogno di essere sostenute da altre braccia, in quel momento più forti e solide, e da altri abbracci.