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IL DOLORE COME ESPERIENZA UNICA E SOGGETTIVA. Fibromialgia e malattie psicosomatiche

Il provare una qualsiasi forma di “dolore” molto spesso è parte integrante della sofferenza psicologica, ne può effettivamente essere causa o conseguenza, oppure anche entrambe assieme.

Le persone a volte esperiscono dolori ai quali non riescono a dare delle spiegazioni e la sofferenza può risiedere anche e soprattutto nel fatto che, dopo diversi e accurati esami specialistici, neanche la medicina riesca a trovare un riscontro organico, qualcosa di “malfunzionante” all’interno dell’organismo, del corpo in generale. Di questo, ne fanno esperienza le persone che soffrono di una malattia cronica psicosomatica, appunto.

Per comprendere ciò, bisogna prima distinguere tra due tipi di dolore: quello “acuto” e quello “cronico”.

Il dolore “acuto” è occasionale, in risposta a uno stimolo inatteso e intenso, relativo allo stato attuale e reversibile, poiché ha un inizio e una fine.

Il dolore “cronico”, invece, è persistente e costante, quotidiano ed è una risposta disadattava del nostro corpo.

La International Association for the Study of Pain (IASP), nel 2020, ha definito il dolore cronico come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata o simile a quella associata a un danno tissutale reale o potenziale”.

La American Psychological Association, già nel 2013, sosteneva,infatti, che il punto cruciale non è il sintomo somatico in sé ma il modo in cui la persona lo presenta e lo interpreta.

Con questi interventi e queste “nuove” e aggiornate definizioni si può parlare di una effettiva rivoluzione nel considerare questo tipo di dolore derivante non solo da un malessere fisico o organico, biologico ma anche da fattori psicologici e sociali dell’individuo. Prende in considerazione la soggettività e l’unicità della persona, esattamente la sua personale esperienza.

Ne deriva, quindi, che il vissuto di  dolore dovrebbe essere sempre compreso e rispettato, dato che, inoltre, le persone apprendono il concetto di dolore attraverso le loro esperienze di vita.

Sebbene il dolore di solito abbia un ruolo adattativo, può avere effetti negativi sulla funzionalità e il benessere sociale epsicologico.

Con ciò, bisogna anche tenere in considerazione che la descrizione verbale non è l’unico modo per esprimere il dolore e che l’incapacità di comunicare non nega la possibilità che un essere umano stia provando malessere: ovvero, se non esplicito verbalmente che ho dolore, non vuol dire che sia scontato che io non ne abbia. Un po’ come “se non sto chiedendo aiuto non vuol dire per forza che non ne abbia bisogno”.

Più in generale, l’OMS, invece, definisce la malattia cronica come un “problema di salute che richiede un trattamento continuo durante un periodo di tempo che può andare da anni a decadi”.

Nonostante l’elenco sia molto lungo e si suddivida anche per categorie, prendiamo come esempi solo alcune delle malattie psicosomatiche croniche, quelle che potrebbero essere le più “conosciute”:

Gastrite
Colite spastica (sindrome del colon irritabile)
Psoriasi
Artrite reumatoide
Fibromialgia

Negli ultimi anni, l’attenzione medica e psicologica si è soffermata in particolar modo sulla fibromialgia. La fibromialgia è una sindrome dolorosa cronica caratterizzata dall’insorgere di numerosi sintomi differenti tra loro ed associata ad ulteriori disturbi come stanchezza cronica, disturbi cognitivi, problemi psichici, alterazioni del sonno e sintomi somatici.

Colpisce in Italia oltre 2 milioni di persone, corrispondenti circa al 3% dell’intera popolazione. Si tratta di una sindrome che potremmo definire «di genere» perché più dell’80% di coloro che ne sono affetti sono donne tra i 30 e i 60 anni.

Le cause della fibromialgia sono ancora da identificare. Si suppone che per comprenderle appieno bisogna centralizzare la soggettività della persona, prendendo in considerazione dunque la sua intera storia di vita: fattori psicologici, sociali, ambientali e non solo una possibile vulnerabilità biologica.

Il sintomo cardine della malattia, presente in ogni persona che ne è affetta, resta comunque il dolore cronico. Più precisamente, si parla di “dolore nociplastico”: in questa forma, non vi è un danno al sistema nervoso né al sistema tissutale ma è presente un’alterazione della nocicezione. La nocicezione è quel processo sensoriale che rileva i segnali e le sensazioni di dolore, tutto ciò tramite l’attivazione di recettori periferici (terminazioni nervose), chiamati appunto “nocicettori”. Come se fossero i “sensori del dolore” del nostro corpo: nella fibromialgia, questi sensori funzionano “male” e attivano la percezione di dolore anche laddove non è presente nessuno stimolo reale.

Tramite studi e ricerche sul tema, si è notato come esistano delle costanti negli aspetti psicologici, comuni in tutte le persone che soffrono di fibromialgia:

Uno stile di attaccamento insicuro o disorganizzato
Uno o più eventi di vita traumatici
Alessitimia (la difficoltà nel riconoscere, esprimere e distinguere le proprie emozioni e sensazioni corporee)
Bassa autostima

Per trattare la fibromialgia in maniera sufficientemente efficace e permettere alla persona di condurre una vita il più “normale” possibile, l’intervento elettivo è sicuramente quello multidisciplinare: una terapia farmacologica utile ad alleviare i sintomi della malattia e, parallelamente, la psicoterapia, utileinvece soprattutto a:

Aiutare il paziente nel differenziare sensazioni, esperienze ed emozioni;
Mantenere o rendere consapevoli dei propri vissuti e delle proprie emozioni;
Individuare nuove abitudini;
Attivare processi di consolidamento delle abitudini funzionali;
Lavorare sull’accettazione della nuova condizione;
Sostenere durante queste nuove fasi di vita.

Il paziente vive nel corpo la sua sofferenza. Il suo è un dolore soggettivo al quale si va ad aggiungere e confondere quello fisiologico della malattia; una malattia che struttura la rappresentazione di sé con la malattia stessa; una malattia che continuamente “auto-attacca” il proprio corpo.

Il dolore ha sempre un’importante accezione soggettiva e personalizzata: non tutti proviamo dolore allo stesso modo, per le stesse cose. Per questo, è sempre necessario sospendere il nostro giudizio a riguardo, comprendere il più possibile e rispettare il malessere che esso provoca nella persona che abbiamo di fronte, sia che siamo professionisti della salute oppure no. Anche questo è terapeutico.

Dott. Riccardo Falconieri

Bibliografia

“Il corpo malato. L’intervento psicologico”, a cura di Bruno G.Bara, Raffaello Cortina Editore

“Il ruolo dello psicologo nel piano nazionale cronicità”, ConsiglioNazionale Ordine Psicologi, fonte reperibile online

“Psicologia e Salute”, Antonella Delle Fave e Marta Bassi, Utet Università