Nelle grinfie di Narciso: quando il narcisismo maligno sfocia nel femminicidio
Introduzione
Quando parliamo di narcisismo in senso patologico, descriviamo un disturbo, che prende spesso i connotati di un disturbo di personalità, caratterizzato da grandiosità, necessità di ammirazione, arroganza, presunzione, incapacità di gestire il rifiuto.
All’interno di tale quadro diagnostico, ricorrono sempre, l’assenza di empatia associata ad un’autostima scarsa ed una vulnerabilità latente, alle quali soggiace un Io profondamente deprivato, che di fronte all’aprirsi di ferite narcisistiche può mettere in campo meccanismi di difesa primitivi e dunque condotte aggressive auto e/o etero-riferite, in un continuum che va dall’aggressione verbale all’omicidio. Ecco perché in ambito forense e soprattutto nei casi di femminicidio non è infrequente imbattersi in individui con tali caratteristiche, racchiuse in ambito psicodinamico nella definizione coniata da Kernberg di Narcisismo Maligno.
Il narcisismo Maligno
Il narcisismo maligno viene descritto da Otto Kernberg, per la prima volta nel 1984, come una variante del narcisismo patologico contenente, oltre ai classici elementi di grandiosità, anche altri elementi quali la paranoia, il sadismo, l’aggressività e la psicopatia e comprende tutti quegli individui che nell’esprimere aggressività verso sé stessi e gli altri sperimentano un aumento di autostima e la conferma della propria grandiosità (Kernberg, 1992).
Come nel disturbo narcisistico di personalità, nel narcisismo maligno, che si colloca in un continuum più grave tra il disturbo di personalità stesso, gli altri sono considerati come oggetti-Sé, ovvero come un’estensione dell’individuo stesso, sulla base della quale si regge la sua autostima, pertanto gli altri vengono idealizzati e svalutati a seconda che soddisfino o meno i requisiti dell’Io ideale a cui il narcisista mira.
Alla base di questa dinamica relazionale con gli altri, vi è il tentativo da parte del bambino ferito, di ripristinare una relazione oggettuale completamente buona, sopprimendo quella persecutoria interiorizzata dal rapporto con gli altri significativi. Se però tale dinamica, a livello relazionale, non viene soddisfatta, il narcisista deve fare i conti con la sua ferita narcisistica primaria, che è quella di non essere visto e amato, se non in funzione di quella che fa più che di quello che è, e questo genera frustrazione e di conseguenza aggressività, rabbia e odio.
Secondo Kernberg (1992), infatti, l’aggressività è preminente nella struttura narcisistica di personalità, e rappresenta il nucleo motivazionale da cui può trarre origine la spinta a commettere fatti che costituiscono reati.
Seguendo la psicodinamica di tali sentimenti, vediamo che la rabbia originariamente, ha per il bambino una funzione biologica specifica: comunicare al caregiver una situazione di dolore e disagio con il fine ultimo di eliminarne la fonte, più tardi poi, si trasforma nella ricerca della gratificazione stessa.
A un livello superiore della rabbia si colloca l’odio, sentimento in cui spesso viene canalizzata la pulsione aggressiva. Tale sentimento, essendo più cronico e stabile, può implicare forti distorsioni delle funzioni dell’Io e del Super- Io e dunque, comportare manifestazioni patologiche dell’aggressività, con comportamenti aggressivi, verso il Sé, identificato con l’oggetto odiato, come nel suicidio, o verso l’altro, come nell’omicidio, che mirano alla eliminazione definitiva dell’oggetto stesso, e/o al manifestarsi di tendenze sadiche volte a mantenere relazioni di tipo onnipotente, come la cosiddetta relazione vittima – aggressore.
Fondamentale per la psicodinamica dell’odio è il grado di integrazione del Super Io; soggetti che presentano un Super Io scarsamente integrato sono più inclini a commettere azioni aggressive violente, che sfociano spesso e volentieri in reati gravi.
In tale quadro, gli altri vissuti come buoni sono considerati deboli ed inaffidabili e pertanto disprezzati, quelli cattivi sono percepiti come potenti e necessari alla sopravvivenza, ma comunque sadici ed ugualmente inaffidabili. L’unica speranza di sopravvivenza e di evitamento della sofferenza resta dunque, solo il potere e il sadismo che gli consentono di controllare gli altri (Kernberg 1992), da qui la necessità di manipolarli.
Manipolazione perversa e dipendenza affettiva
Il narcisista maligno è di fatti un manipolatore perverso e ha come obiettivo proprio quello di agire attraverso la manipolazione per far compiere all’altro, delle azioni che tornano ad esclusivo vantaggio personale, si approfittano dell’amore altrui a scopo egoistico. Il narcisista maligno è bugiardo, ipocrita e non prova alcun senso di colpa per quello che fa, poiché tutto è finalizzato a soddisfare il proprio ego. Manipola la vittima amorosa fingendo di amarla, e dopo averla conquistata, proprio come fosse una preda, se ne nutre avaramente, la maltratta e tende a “sbarazzarsene” se quest’ultima minaccia in qualche modo la sua autostima o lo colpisce nei pochi sentimenti in grado di destabilizzarlo, ovvero, il senso di vergogna, di rifiuto e di abbandono. L’altro, per il narcisista in generale, non è altro che un’estensione di sé stesso, pertanto, tenderà a scegliere partner che soddisfino le caratteristiche che vorrebbe possedere; ma questo diventa un’ arma a doppio taglio, nella misura in cui, la vittima amorosa da un lato viene elogiata e dunque idealizzata, dall’altro deve essere tenuta sotto controllo in quanto punto di forza su cui si erge la sua autostima, e quindi viene svalutata, e nei casi estremi del narcisismo maligno “eliminata”.
Tra le varie “strategie” di controllo, menzioniamo il gaslithing, l’orbiting, il ghosting e lo stalking.
Tendenzialmente le vittime amorose che vengono scelte non sono casuali ma sono persone che, hanno sperimentato legami di attaccamento insicuro, che hanno alle spalle vissuti di abusi e/o traumi relazionali e non, di una certa rilevanza.
In definitiva, gli individui che nell’espressione del loro narcisismo, sono disposti a danneggiare gli altri, vengono definiti maligni e risulta bene evidente il loro comportamento antisociale esprimendo con esso tratti paranoidi, aggressività egosintonica e sadismo sia auto che etero-riferiti. Nei casi più gravi di patologia, chi soffre di narcisismo maligno può diventare un omicida, in quanto considera l’assassinio da un lato come un’azione giustificata di ritorsione, dall’altro, come un tentativo disperato di prendere il controllo e di proteggere la propria autostima (Ronnigstam,2005)
2 casi di femminicidio con possibile correlazione di narcisismo maligno
In Italia solo nel 2023 sono 109 ad oggi i casi di femminicidio, tra donne italiane e straniere.
La maggioranza delle donne vittime di femminicidio ha un’età compresa fra i 31 e i 40 anni (17%); mentre le bambine e le ragazze uccise rappresentano il 9%. Di rilievo appare la fascia di età compresa fra i 71 e i 90 anni che presenta una percentuale del 25% di donne anziane uccise.
Ad uccidere le donne sono stati in prevalenza i mariti, i compagni e i conviventi (42%)!
Le donne sono state uccise con un arma da taglio – che richiama l’ambito domestico perché si trova a portata di mano – (38%)” (uil.tnt.it).
Tra i casi che hanno suscitano più scalpore nell’opinione pubblica, ma che più esemplificano la possibile correlazione tra i casi di femminicidio e il narcisismo maligno, annoveriamo il caso di Giulia Tramontano e Giulia Cecchettin, una uccisa dal convivente, l’altra dall’ex.
Giulia Tramontano una giovane donna di 29 anni, incinta al 7 mese del piccolo Thiago, venne uccisa la sera del 27 maggio 2023, da Alessandro Impagnatiello di 30 anni nella loro casa a Senago, a nord di Milano. A seguito della ricostruzione dei fatti e dell’autopsia, pare che l’uomo dopo aver tentato di avvelenarla per mesi con un topicida, in seguito a una lite, durante la quale Giulia, scoperta la doppia relazione che lui portava avanti da mesi, voleva lasciarlo e andar via, quest’ultimo ha sferrato contro di lei 37 coltellate, per poi tentare di darle fuoco nella vasca da bagno. In seguito all’omicidio l’uomo ha occultato il cadavere e messo in scena la scomparsa della vittima, accertandosi prima di inviare messaggi dal suo telefono per depistare i familiari.
A lanciare l’allerta di un possibile omicidio, è stata la collega di Impagnatiello con cui quest’ultimo aveva una relazione parallela, che il giorno stesso dell’omicidio, dopo essersi confrontata con la vittima rispetto alle relazioni che entrambe tenevano con l’uomo, riceve un sms da quest’ultimo in cui le scriveva “Ora sono libero”.
Dopo quattro giorni di ricerche il corpo di Giulia viene trovato, non lontano dalla loro abitazione coperto da buste di plastica, dai carabinieri, indirizzati, dopo diversi interrogatori, dallo stesso Impagnatiello.
L’uomo viene accusato di omicidio volontario aggravato, occultamento di cadavere e interruzione di gravidanza non consensuale, con le aggravanti di crudeltà; premeditazione del delitto; di essere stato mosso da futili motivi e di avere accoltellato la propria convivente.
Un caso questo di una ferocia disumana, dove l’uomo minacciato di essere smascherato e quindi come su detto in preda alla vergogna, da un lato; avendo perso il controllo della partner e minato nel senso di abbandono dall’altro, ha mostrato la sua vera natura maligna “eliminando” in modo irreversibile, la sua compagna, in cui probabilmente aveva proiettato la sua “parte persecutoria” che minacciava la sua autostima, ed è ritornato normalmente alla sua vita pensando di poter andar avanti iniziando un nuovo capitolo.
Giulia Cecchettin, una ragazza di 22 anni che viveva a Vigonovo, in provincia di Venezia, era studentessa di Ingegneria biomedica all’università di Padova, e si sarebbe dovuta laureare la settimana dopo l’11 novembre 2023, sera in cui il suo ex fidanzato, Filippo Turetta anche lui di 22 anni e iscritto alla stessa facoltà, era andato a prendere in macchina la ragazza per trascorrere qualche ora insieme. La ragazza aveva chiuso la sua relazione con lui in estate, ma continuavano a frequentarsi e studiare insieme, pertanto non era insolito il fatto che quella sera i due si vedessero. Ma, in seguito all’ ultimo messaggio di Giulia, inviato alla sorella intorno alle 23, non si erano più avute notizie di entrambi. Se non fosse che un testimone aveva dato l’allarme, vedendo dal balcone di casa sua due ragazzi litigare e la ragazza chiedere aiuto, per poi essere costretta a salire nell’auto del ragazzo; all’arrivo delle forze dell’ordine però la macchina era già partita.
Nei giorni successivi erano cominciate le ricerche dei due ragazzi, tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Alto Adige, ma si è poi ricostruito il passaggio dell’auto di Turetta in Austria, paese da cui poi sarebbe entrato in Germania, dove è stato poi ritrovato.
La procura di Venezia aveva aperto un’inchiesta per scomparsa di persona, finché non è giunto un video del parcheggio, in cui si vedeva Filippo colpire Giulia più volte con le mani, per poi, inseguirla quando lei cerca di scappare e, dopo averla raggiunta, colpirla nuovamente fino a farla cadere a terra e caricata in macchina sanguinante.
Sabato 18 novembre, la procura di Venezia aveva annunciato di aver trovato il corpo di una ragazza coperto da sacchi neri ai piedi di una scarpata della val Caltea nella zona del comune di Barcis, in Friuli che era stata immediatamente identificata come Giulia Cecchettin. a un esame esterno del corpo della ragazza da parte del medico legale, risulterebbero ferite compatibili con almeno 20 coltellate. Il giorno dopo Turetta è stato arhttp://www.ecoassociazione.it/wp-content/uploads/2023/12/58bf251a-473c-4ea1-b300-2ce47e973407-300×300.jpgrestato a pochi chilometri dalla cittadina di Bad Dürremberg, vicino a Lipsia, nella Germania orientale, e al momento è indagato per omicidio volontario aggravato dal vincolo affettivo.
Pare che il movente del ragazzo, confessato l’omicidio, fosse quello di “volerLa per se, non accettando che fosse finita”, durante l’interrogatorio si dimostra pentito e giustifica con la possessione il suo omicidio di cui sembra volersi far carico.
Anche in questo caso notiamo come di fronte alla minaccia dell’abbandono e di perdita di controllo della partner, che attraverso la laurea sarebbe diventata ancora più indipendente, il ragazzo, che probabilmente aveva proiettato sulla ragazza il suo Io Ideale, da qui la brama di possesso, si è scompensato mostrando la sua vera natura, andando a eliminare la persona vissuta come parte di sé, prima idealizzata e poi svalutata perché fuori controllo.
Conclusione
Di fronte a tutti questi femminicidi, dal momento che per varie ragioni tra cui, una cultura deviata che in parte ancora riconosce come lecito l’uso della violenza di un uomo su una donna e le tutele a livello statale che restano blande, la domanda che ci si pone spesso è come riconoscere individui che incarnano queste caratteristiche?
In America è stato da poco introdotto un nuovo disturbo definito “Sindrome da Abuso Narcisistico” che ben potrebbe delineare, riconoscendo i propri stati d’animo, se abbiamo a che fare o meno con una personalità narcisistica; tra questi annoveriamo: il senso di soffocamento, di non essere mai abbastanza, di inferiorità, sentimenti di tristezza fino alla disperazione; stato di ipervigilanza con conseguente ansia e paura; cambiamenti d’umore repentini, con predisposizione all’irritabilità, rabbia, vergogna, sensi di colpa, autoaccusa; stati mentali di dubbio percettivo, negazione, incredulità.
In un’ottica preventiva, riconoscere questi stati d’animo potrebbe essere dunque un primo passo per la propria tutela emotiva, lavorare sulla dipendenza affettiva da quest’ultimo per distaccarsene, quello successivo.
Dott.ssa Monica Iuliano
Psicologa – Psicoterapeuta