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I TRE “ATTORI” DELLA NOSTRA PSICHE E LE LORO MANIFESTAZIONI: BAMBINO, GENITORE E ADULTO

E’ capitato a tutti di avere pensieri nella testa contrastanti, di pensare in un modo e nel giro di poco di avere l’impressione di aver cambiato idea del tutto. Alle volte ci sentiamo “strani” e temiamo di essere “pazzi”: diventa, così, difficile poter comunicare agli altri le nostre sensazioni, poichè di fatto siamo i primi a non riuscire a comprenderle.

Perché questo accade?
Ognuno di noi porta con sé diverse parti che nella vita di tutti i giorni interagiscono, comunicano, s’impongono e spesso ci fanno soffrire.
Imparare a vederle, conoscerle e ascoltarle può essere un punto di svolta sorprendente ma bisogna spesso potersi affidare ad un professionista per non perdersi in questo percorso a tratti difficile, ma illuminante.

Di quali “parti” stiamo parlando? E quante sono?
Ognuno di noi porta dentro di Sè tre stati mentali dell’Io. Il primo è stato chiamato da diversi autori in modo differente: è la parte che assume il nome di Infante, Innocente o Bambino interiore.

In terapia mi trovo molto spesso a guidare i pazienti a sintonizzarsi con questa parte: è importante sapere che il Bambino che siamo stati rivive in noi per tutta la vita, ci accompagna nella nostra quotidianità e, a volte, le sue paure o le sue insicurezze prendono il sopravvento.
Le persone che incontriamo comunicano spesso sofferenza ed il proprio Bambino interiore cerca di comunicare qualcosa proprio attraverso essa.
Si tratta di un piccolo Sè che probabilmente è stato spaventato, ferito, trascurato, deluso, abusato, bullizzato, isolato e che è alla ricerca di qualcuno che possa prendersi cura di lui.

È alla ricerca di un adulto che possa essere in grado di “prenderlo per mano” e con tono rassicurante possa sussurrargli: “Va tutto bene, ci sono qui io”.

Questa parte, in un primo momento, viene interpretata dal professionista che diventa per il Bambino interiore del paziente l’Adulto di cui avrebbe avuto bisogno da piccolo.
Ma, affinché la psicoterapia sia funzionale, è indispensabile guidare la persona a diventare l’Adulto significativo di cui il Bambino interiore ha bisogno.

Bisognerà imparare ad essere rassicuranti, amorevoli, accoglienti e aperti al mondo, proprio come un buon genitore avrebbe fatto con il proprio bambino.
Molte volte è capitato che i pazienti che si sintonizzano con il proprio Bambino interiore siano perplessi nel doverlo “sentire” per tutta la vita. Ma un bambino che viene rassicurato e protetto, non sarà un bambino che piangerà o urlerà per tutta l’esistenza. Potremmo godere della sua compagnia, quella di un bambino sorridente e sereno.

Sembrerebbe che all’interno di ciascuno di Noi la “scena” sia occupata esclusivamente dal Bambino interiore, ma sul “palcoscenico” in realtà troviamo altre due figure: il Genitore e l’Adulto. A loro modo queste due parti intervengono e si schierano con l’intento di difendere il Bambino interiore dal pericolo e dal dolore. Ma non sempre le nobili intenzioni bastano.

Il Genitore si crea mettendo insieme tutto ciò che abbiamo assorbito dai caregiver, da coloro che ci hanno accudito. Spesso in questo stato mentale ritroviamo il comportamento, le emozioni, gli schemi dei nostri genitori o di chi ci ha cresciuto.
Ed ecco che la critica, la svalutazione, la disapprovazione, la delusione spesso viene manifestata da questa figura proprio sul Bambino interiore.

L’Adulto, invece, è la parte più intellettuale, razionale e spesso risulta essere una parte “congelata” che non riesce a passare all’azione.

Mi piace pensare che questo stato dell’Io possa diventare un giusto mediatore tra il Bambino e il Genitore, ovvero quella parte che sia in grado di riflettere tenendo in considerazione i bisogni degli altri due stati mentali, per poter agire in modo proficuo.

Vedere queste tre figure (o stati mentali dell’Io) e comprendere come esse si manifestino, apre la strada verso il cambiamento.
E’ importante riuscire a “sbloccare” l’Adulto e renderlo comprensivo, benevolo, consapevole di come questi sentimenti passati condizionino, inconsciamente, la nostra vita di tutti i giorni.

“I presupposti non sono facili da attuare. Dovrai pensare, anche se non sei abituato a pensare. Ti capiterà di doverti buttare, anche se non sei abituato a buttarti. Ti capiterà di dover mettere a tacere le tue lamentele, anche se sei abituato a piagnucolare. Ti capiterà di dover sopportare un’ansia tutta nuova e delle strane sensazioni.
Diventando un genitore lucido e dinamico per il tuo bambino del passato, tenero ma severo quando è necessario, puoi fare qualcosa che nessun’altra può fare. Al posto tuo: inventare per te una vita nuova e appagante…. E un nuovo modo di vedere te stesso e chi ti vive accanto.”

(W. Hugh Missildine “Il bambino che sei stato” 1963, ed 2004).

 

Dott.ssa Sonia Allegro

Psicologa – Psicoterapeuta

NON È UN PAESE PER MAMME

Tutti ci chiedono di fare figli, dal Papa ai governi, la natalità è a i minimi storici e per incentivarla si adottano modalità discutibili quali rendere illegale l’aborto (vedere alla voce America) o elargire 4mila euro una tantum alle mamme per convincerle a non interrompere le gravidanze (Piemonte).

Ma com’è che il viaggio della maternità è diventato così disincentivante?

Partiamo dall’inizio.

In Italia le donne fanno figli sempre più tardi, in media intorno ai 31 anni. E negli 10 ultimi anni in Europa il numero di donne che partorisce il primo figlio dopo i 40 anni è raddoppiata, con l’Italia che si piazza al secondo posto dopo la Spagna su questa classifica.

Il perché è presto detto: mancanza di occupazione, fatica a raggiungere un reddito stabile, enorme difficoltà nel potersi permettere una casa. E se questa combinazione di fattori riguarda tutti i giovani, sulle donne ha un impatto maggiore. Il tasso di occupazione femminile è fermo al 50% e i datori di lavoro hanno da sempre la tendenza ad investire meno sulla formazione e la promozione delle loro dipendenti donne che potrebbero un giorno assentarsi per maternità o per far fronte al carico famigliare che, ancora, ricade in gran parte su di loro. Ma su questo torneremo più avanti.

Alla luce di quanto detto, prima che una donna arrivi anche solo a pensare di mettere su famiglia (se lo desidera), facilmente sarà over 30. E, come è noto, la biologia non è così interessata alle umane vicende. Dunque, spesso, presenta il suo conto e allora i tempi per arrivare ad una agognata maternità possono allungarsi ancora. A volte si attraversano anni di cure psicologicamente e fisicamente provanti e, purtroppo, si può incappare in cliniche della fertilità più o meno serie che lucrano sulla sofferenza altrui.

Quando finalmente si riesce a concepire, inizia un viaggio di trasformazione fisica e mentale senz’altro potente e interessante, ma non sempre così idilliaco come viene dipinto, o almeno non per tutte.

È un aspetto di cui si comincia a parlare, ma non ancora pienamente sdoganato. C’è una sorta di ritrosia nel raccontare con schiettezza anche gli aspetti meno amabili dell’essere incinte, anche tra le amiche. L’immagine mentale della donna che nel riprodursi attraversa il momento di gioia più grande della sua vita, è dura a morire.

Stessa sorte silenziosa tocca ancora all’aborto, benché sia molto comune: basti pensare che circa 1/3 delle gravidanze termina con un aborto spontaneo. Purtroppo le pratiche ospedaliere sono ancora molto carenti nel prendersi cura di una donna dopo tale evento e la società non è affatto preparata ad essere di supporto. L’aborto viene spesso sminuito, silenziato, messo da parte con frasi crudeli e sbrigative e, troppo spesso, le madri si ritrovano anche a gestire un aleggiante senso di colpa, come fossero portatrici di qualche difetto o inidoneità. Invece, sappiamo che gli aborti spontanei avvengono per la gran parte dei casi per una selezione naturale del corpo e non per un accudimento inadeguato. In questo, il nostro termine italiano aborto (ab-ortus, allontanato dalla nascita) è più corretto dellinglese miscarriage (mal tenuto, mal contenuto).

Quando la gravidanza procede e arriva al termine, le donne affrontano il temuto momento del parto. E se il dolore non fosse sufficiente come preoccupazione, si aggiunge anche il terno al lotto della gestione ospedaliera. È importante sapere, infatti, che lItalia presenta un numero eccessivo di parti cesarei. Nel 2020 veniva fatto ricorso al cesareo nel 31% dei casi, nonostante siano state create delle linee di indirizzo per la riduzione di questa tipologia di parto, proprio perché eseguito in misura troppo frequente rispetto alla reale necessità. Il problema del ricorso eccessivo al cesareo, a onor del vero, accomuna tutta Europa e il tentativo di invertire la tendenza si sta diffondendo, anche se troppo lentamente. I paesi più virtuosi in tal senso sono Finlandia e Svezia che vi ricorrono solo nel 16% dei casi.

Un’altra pratica abusata (60% dei parti) è quella dell’episiotomia, una vera e propria chirurgia vaginale che consiste nell’effettuare un taglio nella parte bassa della vagina per aumentare lo spazio e favorire l’uscita della testa e del corpo fetale al momento del parto. L’episiotomia, nonostante la sua natura chirurgica, viene ancora troppo spesso praticata senza il consenso della madre (e talvolta senza nemmeno informarla). L’idea che diminuisca il rischio di lacerazioni è stata confutata e, anzi, oggi si sa che può provocarne un peggioramento. Inoltre, se non ben effettuata, rischia di lasciare dei danni permanenti dal punto di vista funzionale, sessuale, oltreché estetico.

L’episiotomia oggi è ritenuta una pratica da utilizzare in rari casi perché il solo fine dell’aumento di spazio può essere ragionevolmente raggiunto attendendo i fisiologici tempi (a volte molto lunghi) dell’espulsione.

A tutto questo, si aggiunge la violenza ostetrica (di cui è parte l’episiotomia non concordata, così come la manovra di Kristeller) che riguarda tutta una serie di abusi verbali e fisici subiti durante l’assistenza al parto e al post-partum, che sono lesivi dei diritti alla salute riproduttiva e dell’autonomia decisionale della donna sul proprio corpo e la propria sessualità. Inutile dire che queste pratiche impattano profondamente sulla qualità della vita della donna e non solo durante e dopo il parto. Secondo un’indagine del 2017, su un campione di 5 milioni di donne, il 21% ha subito violenza ostetrica. Numeri che fanno paura ma che smuovono poca reazione, quasi a richiamare l’idea che partorire con dolore implichi anche tacere e sopportare. L’informazione tra le future mamme rispetto a queste pratiche è ancora molto bassa, motivo per cui le donne stesse spesso non le riconoscono come violenza. Non ne hanno gli strumenti, non sono mai state informate sui propri diritti anche relativi al momento del parto e, facilmente, lì per lì non hanno la forza né la lucidità di opporsi.

Se siamo giunte fin qui e tutto quanto è andato, più o meno, liscio, arriviamo al fatidico rientro a casa e all’adattamento alla vita da neo-mamme.

Come sappiamo, nel 2021 in Italia il congedo di paternità è stato portato a 10 giorni ed è stato reso obbligatorio. Prima del 2021, solo il 40% dei papà lo richiedeva e molti non erano a conoscenza di questo diritto. Nonostante il miglioramento, il congedo di paternità in Italia resta ancora tra i più bassi d’Europa (in Spagna sono 16 settimane): ciò significa che, salvo pochi giorni, al rientro a casa le donne sono spesso sole ad affrontare la fatica e l’adattamento fisico e mentale ad una nuova vita. Il principale appoggio è ancora rappresentato dai nonni, se sono in pensione.

Questo è il periodo in cui fa capolino il rischio della depressione post-partum, che colpisce circa il 15% delle neo-mamme, mentre l’85% sperimenta il “baby blues” cioè un lieve disturbo dell’umore dovuto al rapido mutamento degli ormoni nel corpo dopo il parto. La privazione del sonno, il recupero fisico e la fatica fanno il resto.

La ricerca ha ormai concordato sull’importanza del sostegno e del supporto alle neo-mamme in questo periodo delicato. Il supporto sociale ed emotivo è fondamentale per sentirsi ascoltate, rilasciare paure e sensi di inadeguatezza e ritrovare benessere e fiducia in stesse.

È chiaro che lasciare le mamme sole in questo periodo, non sia la scelta ottimale, e 10 giorni di congedo di paternità sono una goccia nel mare. Le donne si adoperano nel creare reti con amiche e compagne di corso pre-parto o rivolgendosi ai consultori, ma non tutte e non sempre è sufficiente a scongiurare la solitudine.

A questo si aggiunge che non tutte le donne possono o vogliono fermarsi dal lavoro molto tempo dopo il parto. Ad esempio, ci sono donne che non si trovano nel ruolo di accudimento primario, ci sono donne libere professioniste che non possono permettersi una maternità lunga, ci sono donne che non possono contare sul sostegno del partner o dei nonni, ecc. Il problema è che quando un bimbo è sufficientemente grande per l’asilo nido, i posti bastano in media per 3 bambini su 10!

Questo è un fatto davvero interessante: se consideriamo che una mamma dipendente ha diritto a 5 mesi di congedo di maternità obbligatorio (pagati all80% della retribuzione e distribuiti in modo flessibile tra pre e post partum), verrebbe da pensare che intorno al 5° mese del bebè la società provveda con un servizio di assistenza e di inserimento scolastico adeguato e atto a conciliare lavoro e famiglia. Ma così non è. Il posto non c’è e i bambini andrebbero iscritti quasi prima ancora di nascere. Il nido privato, di contro, è una soluzione per pochi visto che si avvicina in media al costo di un affitto.

La cura dei cuccioli d’uomo di questa società è ancora chiaramente delegata ai nuclei famigliari (leggi mamma e nonni) nel loro privato. Si conta sulla capacità dei singoli di arrangiarsi, non sulla necessità di una società evoluta di fornire servizi ai nuovi nati che ne costituiranno il futuro. Come se la procreazione non riguardasse la collettività, insomma.

Un diritto facoltativo di cui le famiglie possono comunque avvalersi è il congedo parentale. In Italia sarebbe a disposizione di entrambi i genitori nella misura di 6 mesi ciascuno, ma con un limite di 10 mesi a famiglia (allungabili a 11 se è il padre ad astenersi dal lavoro per almeno 3 mesi) e con un’indennità pari al 30% della retribuzione. Il congedo parentale va utilizzato dalla nascita del bambino fino ai 12 anni di età, ma viene retribuito al 30% dello stipendio solo fino ai 6 anni, in seguito non è prevista indennità.

Non è una sorpresa scoprire chi ne usufruisce. La pandemia ci ha ben mostrato come l’accudimento ricada ancora in massima parte sulle spalle delle donne, facendo solo emergere un dato che è sempre rimasto costante negli anni: l80% dei congedi parentali viene richiesto dalle donne. Questo significa che quando le famiglie sono costrette a scegliere tra cura della prole e avanzamento lavorativo, sono le donne a fare un passo indietro.

Come abbiamo già detto, i datori di lavoro non trovano conveniente investire su una risorsa femminile che sarà più assente e quindi anche la possibilità di crescita professionale diminuisce. Tutto ciò perpetra un meccanismo che alimenta la disuguaglianza: quando ci si ritrova a scegliere chi nella coppia debba rinunciare al lavoro o prendere permessi per farsi carico di un lavoro di cura non retribuito, chiaramente la scelta ricadrà su chi già occupa una posizione più bassa e percepisce un salario minore.

Le tabelle dell’Inps, così, ci mostrano chiaramente come la maternità costituisca la principale fonte di discriminazione sul lavoro. Dopo la nascita di un figlio, le carriere delle donne naufragano drasticamente: a 15 anni dalla nascita i salari lordi annuali delle madri sono di 5700 euro in meno rispetto a quelli delle donne senza figli.

Per chi invece riesce, coi salti mortali, a far stare in piedi sia il lavoro che la famiglia, arrivano i vissuti di colpa e inadeguatezza. Perché viviamo in una società che, al netto delle sue mancanze, non fa sconti alle madri: chiede loro di lavorare come se non avessero figli e di accudire i figli come se non lavorassero. Tutto ciò crea un’asticella di mamma perfetta e multitasking ovviamente inarrivabile, a meno di scarificare tutte se stesse e la propria salute mentale.

Il problema è che finiamo per crederci e vivere annaspando, cercando di essere presenti come madri, tenere la casa in ordine, lavorare al meglio della nostra concentrazione e puntando in alto sennò non siamo ambiziose, cucinando manicaretti e tenendo viva la passione di coppia, nel mentre che ci alleniamo per rientrare nei canoni estetici della nostra società e dedichiamo tempo a noi stesse e alle amiche perché sennò ci trascuriamo. Tutti obiettivi valevoli e degni del nostro tempo, se solo fossero condivisi in un progetto di cura con i nostri partner (che per fortuna, soprattutto dalla generazione Millenial in avanti, stanno facendo molti passi di presenza) e con una società che si faccia vero carico delle sue mamme e dei suoi piccoli cittadini, invece di relegare i servizi all’infanzia ad una questione da risolversi in privato.

Alla luce di tutto questo, più che chiedersi perché non facciamo più figli, verrebbe da chiedersi perché mai li facciamo ancora nonostante tutto!

Per il futuro, il tanto chiacchierato PNRR fa parte del progetto chiamato Next Generation UE che, sulla carta, già dal nome, dovrebbe rappresentare un’opportunità di finanziamento per i diritti dellinfanzia e il raggiungimento della parità di genere. Insieme a questo, serve una rivoluzione culturale per rimettere al centro della politica e della società il discorso della cura e della sua condivisione.

Una madre (o un padre, n.d.r.) che sta allevando suo figlio nel modo giusto, fa per il suo paese infinitamente di più di quanto fanno tutti i governanti, Werner Braum.

Se sei una futura mamma o una mamma e ti trovi a sperimentare alcune delle situazioni descritte in questo articolo, non sei sola! La maternità può metterci in contatto con esperienze reali e psicologiche difficili da gestire in solitudine. LAssociazione Eco può aiutarti, trovi tutte le informazioni utili ai seguenti link:

https://www.ecoassociazione.it/mentre-attendo-te-mi-prendo-cura-di-me/

https://www.ecoassociazione.it/servizi/psicoterapia-low-cost/

Dott.ssa Valeria Lussiana

Psicologa Psicoterapeuta

IL DISTURBO AFFETTIVO STAGIONALE – Come le variazioni stagionali influenzano il nostro umore

A livello storico sappiamo che Ippocrate già nel 400 a.C. parlava di una specie di depressione dovuta all’andamento stagionale, avendo già allora intuito come l’umore possa essere influenzato dalle variazioni ambientali delle stagioni. Sappiamo anche che nel II secolo a.C. i medici greco-romani trattavamo le persone che provavano sentimenti di eccessiva tristezza facendole stare e osservare la luce del sole.

A livello diagnostico, iDisturbo Affettivo Stagionale (SAD) è descritto nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) come “Disturbo Depressivo Maggiore ricorrente con andamento stagionale” caratterizzato da un pattern di esordio e remissione di episodi depressivi maggiori in periodi dell’anno caratteristici, con assenza di episodi non stagionali, durante un periodo di almeno due anni (American Psychiatric Association, 2014).

Il Disturbo Affettivo Stagionale (Seasonal Affective Disorder – SAD) venne nominato e descritto per la prima volta da Norman E. Rosenthal e colleghi del National Institute of Mental Health nel 1984. Esso si configura come un’alterazione psicofisica stagionale con variazioni dell’umore (verso il polo della tristezza e della depressione) soprattutto all’inizio dell’autunno con la riduzione delle ore di luce solare (SAD invernale) e, seppur in misura minore, anche all’inizio della primavera con il risveglio della natura (SAD estiva).

La Dott.ssa Mc Mahon dell’Università di Copenaghen e altri ricercatori nel 2006 hanno rilevato una correlazione tra il disturbo affettivo stagionale e la sovrapproduzione di melatonina, l’ormone prodotto nella ghiandola pineale alla base del nostro cervello che regola biologicamente il ciclo sonno-veglia, la cui produzione è stimolata direttamente dai raggi solari.

Quest’ultimi rilevano anche una correlazione tra il SAD e una sottoproduzione di serotoninaanche questa è una molecola che riveste il ruolo di neurotrasmettitore e di ormone (noto anche come l’ormone della felicità) responsabile principalmente della stabilizzazione dell’umore.

La SAD è stata intesa da questi studiosi come un vero e proprio squilibrio biochimico nel cervello che avviene, nel caso di SAD invernale, nelle ore diurne più brevi provocando uno sfasamento del ritmo circadiano interno e di alcuni aspetti umorali che giustificherebbero il sentirsi un po’ più stanchi, tristi, assonati e/o apatici in quei giorni.

La SAD invernale è la forma più comune e presenta la sua sintomatologia depressiva durante la stagione autunnale raggiungendo il picco durante l’inverno e migliorando in primavera. Sembrerebbe colpire molto le persone in giovane età, specie donne, che si ritrovano a vivere varie condizioni come deflessione dell’umore, difficoltà di concentrazione, astenia, ansia, ipersonnia o insonnia, irritabilità, iperfagia, fatica psicofisica etc.

Inoltre, nelle persone con SAD, una minore esposizione della pelle alla luce solare (tipica del periodo invernale) con conseguente disregolazione della serotonina può causare anche un deficit di vitamina D collegato allo sviluppo di sindromi depressive.

Uno studio del 2014 ha dimostrato come la fototerapia o Light Therapy, il trattamento considerato più efficace per la cura del SAD, organizzato in misura quotidiana di almeno 30 minuti a un’intensità di 10.000 lux simulante la luce naturale, abbia risultati soddisfacenti sul disturbo affettivo stagionale. La luce catturata dalla retina, infatti, andrebbe a stimolare le aree del cervello in cui avviene la sintesi degli ormoni citati prima (Rohan, Lindsey, Roecklein & Lacy, 2004).

Essendo quindi il cambio stagione un momento delicato, ricordiamo che le alterazioni sull’organismo psicofisico a carico dell’ambiente accentuano sia disturbi preesistenti come sindromi d’ansia, depressive o di altro tipo ma anche chi presenta “solo” uno stile di vita stressante e/o irregolare.

Sebbene la SAD invernale sia più comune, alcune persone vivono una specie di lieve depressione estiva definita anche come SAD estiva o “blues estivo” dovuto al doversi nuovamente riadattare alle condizioni ambientali della stagione primaverile/estiva con sensazioni di affaticamento psicofisico.

Regolare il nostro stile di vita a livello di un’alimentazione sana ed equilibrata, regolare esercizio fisico e una vita sociale attiva può aiutare a fronteggiare sentimenti di tristezza stagionali; quando la SAD è accompagnata da altri disturbi e/o sintomatologie, se necessario, può essere gestita con l’aiuto di un professionista della salute mentale per sviluppare strategie di intervento specifiche al singolo individuo.

BIBLIOGRAFIA:

– Norman E. Rosenthal, MD and Co., (1984) Seasonal affective disorder: A description of the syndrome and preliminary findings with light therapy. Arch. Gen. Psychiat. 1984, 41: 72-80

 Mc Mahon, Brenda; Norgaard, Martin; Svarer, Claus; Andersen, Sofie B; Madsen, Martin K ;Baa, William F C ; Madsen, Jacob; Frokjaer, Vibe G ; Knudsen, Gitte M. / Seasonality-resilientindividuals downregulate their cerebral 5-HT transporter binding in winter – A longitudinalcombined C-DASB and C-SB207145 PET study. In: European Neuropsychopharmacology. 2018; Vol. 28, No. 10. pp. 1151-1160.

Rohan, K. J., Lindsey, K. T., Roecklein, K. A., & Lacy, T. J. (2004). Cognitive-behavioraltherapy, light therapy, and their combination in treating seasonal affective disorderJournal of Affective Disorders, 80(2-3), 273–283.

 Rosenthal, N. E., Mazzanti, C. M., Barnett, R. L., Hardin, T. A., Turner, E. H., Lam, G. K., Ozaki, N., & Goldman, D. (1998). Role of serotonin transporter promoter repeat length polymorphism in seasonality and seasonal affective disorderMolecular Psychiatry3(2), 175-177. 

Rosenthal N.E., MD and Co., Seasonal affective disorder: A description of the syndrome and preliminary findings with light therapy. Arch. Gen. Psychiat. 1984, 41: 72-80

– Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Quinta edizione, DSM5. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.

 

Dott. Maria Grazia Esposito

Psicologa – Psicoterapeuta

“QUANTO ESAGERI! È TUTTO NELLA TUA TESTA!” RICONOSCERE E DIFENDERSI DAL GASLIGHTING

Il gaslighting è una forma insidiosa di manipolazione e controllo psicologico. Si verifica quando qualcuno viene deliberatamente alimentato da false informazioni che lo portano a mettere in dubbio la realtà e a non credere ai propri pensieri e sentimenti.
La verità è che tutti possiamo
avere fatto gaslighting a qualcun altro senza averne intenzione, ma quando succede regolarmente, ad esempio in una relazione, può portare a serie conseguenze a lungo termine: si può finire per dubitare della propria memoria, della propria percezione e persino della propria salute mentale.

Ma da dove arriva questo curioso termine? Deriva da unopera teatrale del 1938, intitolata Gas Light, nella quale un uomo manipola sua moglie così tanto da farle pensare di aver perso la testa. Una sorta di lavaggio del cervello che tenta di minare l’autostima e la sanità mentale dell’altro, in maniera subdola, per poterlo controllare e sottomettere.

Il gaslighting si verifica più spesso nelle relazioni sentimentali, ma non è raro trovarlo anche nei contesti di lavoro e persino nel rapporto medico paziente.

Le relazioni con i gaslighter di solito cominciano piuttosto bene. In ambito sentimentale, è frequente che sappiano creare un clima di confidenza e intimità molto forte fin da subito, sono in grado di far sentire la persona molto attratta, ricoprirla di attenzioni e sintonizzarsi completamente con i suoi bisogni. Questa tattica iniziale va sotto il nome di love bombing (bombardamento damore), nel quale la vittima viene portata a stabilire subito un legame di fiducia benché la crescita dellintimità sia stata troppo rapida nei tempi per poter davvero giustificare la fiducia che si ripone nel gaslighter.

È bene ricordare che le relazioni sane, infatti, sono fatte di sintonizzazioni ma anche di piccole rotture (semplici fraintendimenti, comportamenti non intenzionali che magari ci feriscono o ci lasciano perplessi, moti di diffidenza, ecc.) e riparazioni (tentativi dei due partner di comprendersi meglio e avvicinarsi passo passo al funzionamento dellaltro). Per questo è utile tenere a mente che una relazione troppo perfetta fin da subito, nel quale il grado di sintonia è immediatamente altissimo, non è molto plausibile. Ptalvolta essere indice del fatto che uno dei due stia inconsapevolmente o deliberatamente assecondando tutti i bisogni dellaltro, proponendo sostanzialmente una falsa versione di sé.

Una volta stabilita questa connessione forte di fiducia cieca, sarà più facile per il  gaslighter manipolare la sua vittima.

Solitamente si comincia con piccole bugie su cose semplici, ma il volume delle distorsioni della realtà cresce rapidamente, arrivando ad accusare prontamente la persona se questa protesta mettendo in dubbio quanto le viene detto. Al contempo, il gaslighter tiene buona la relazione disseminando occasionalmente qualche piccolo rinforzo positivo che confonde la vittima. In questo modo la persona finirà col sentirsi confusa: da un lato avrà la percezione di essere trattata ingiustamente, ma dallaltra ricaverà dai piccoli rinforzi la sensazione di essere comunque amata.

Vediamo alcuni esempi di gaslighting per capire meglio:

Screditare. Una tattica comune è dire alla persona che è matta o stupida, in questo modo sentirà che le sue opinioni o sentimenti non sono affidabili. È un tentativo di negare la realtà della vittima anche quando è ben comprovata. Es. Fai presente a qualcuno che ha ferito i tuoi sentimenti e ti senti rispondere che: Sei matto/stupido se lo pensi, perché non è mai successo, te lo sei immaginato! Ti ricordi male, hai capito male come sempre! È tutto nella tua testa!
Minimizzare i sentimenti. Ti sei mai sentito dire che stai avendo una reazione esagerata? O che sei troppo emotivo? Hai mai evitato di dire a qualcuno come ti senti perché eri preoccupato della sua reazione? Quando queste cose accadono con sistematicità, ci troviamo in una situazione di gaslighting. Es. Dici a qualcuno che ha ferito i tuoi sentimenti e l’altra persona si arrabbia con te per aver provato a farla sentire male, o ti dice che sei drammaticoo troppo sensibile, di calmarti e di non tirare più fuori l’argomento.
Mentire e negare. Mentire è una tattica cruciale nel gaslighting, così come negare, negare, negare! Non prendersi mai la responsabilità delle proprie azioni, negare di avere un ruolo nel conflitto, rappresenta un problema e ha a che fare con il non volersi impegnare a cambiare e migliorare stessi per incontrare anche i bisogni dellaltro. Es. E un problema tuo, fattela passare. Era una battuta, fatti una risata! Non è colpa mia se non la capisci.
Isolare. I manipolatori hanno la tendenza a mostrare una faccia alla vittima e unaltra al resto del mondo. In questo modo diventa molto difficile per le vittime pensare di essere credute se decidessero di chiedere aiuto. Es. Sei lunico che la pensa così. Ma stai bene? Dici delle cose assurde, mi sto preoccupando per le cose che dici.

Alla lunga gli effetti del gaslighting possono portare a perdere fiducia in stessi e nella veridicità dei propri sentimenti e della percezione della realtà. Si può arrivare ad isolarsi dagli altri perché ci si vergogna o, al contrario, sentirsi dipendenti da essi perché l’autostima viene annientata. Come se si fosse indegni di amore e inutili di per . Ci si può sentire costantemente confusi, ansiosi, preoccupati riguardo alla relazione col gaslighter. Si finisce per mettere in secondo piano i propri sentimenti e scusarsi di frequente per cose che lasciano confusi. Si perde il senso della propria identità e la propria autostima.

Che fare allora?

Allontanarsi dalla persona aiuta nell’immediato a riguadagnare una prospettiva meno inquinata. Questo può condurci a distinguere meglio la manipolazione dalla realtà.

Se, parlando col diretto interessato di quello che si sta sperimentando, questi riesce a comprendere ed accettare di stare sbagliando, si può provare, con l’aiuto di un professionista, a ricostruire una relazione più sana, con dei confini chiari. Molte persone mettono in campo qualche abitudine non sana nelle proprie relazioni: a volte, si tratta di impararne di nuove e migliorare.

Può capitare infatti che il gaslighter non sia consapevole del proprio comportamento, non lo applichi cioè in modo volontario. Ad esempio, alcune persone attuano comportamenti manipolatori perché ne sono stati testimoni di frequente da bambini o perché hanno imparato a sfruttarli per sopravvivere in un ambiente famigliare gravemente deprivato. Indipendentemente dal livello di autoconsapevolezza del gaslighter o dalla patologia che vi sta dietro, però, il comportamento non è mai accettabile e il fatto che sia inconscio non dovrebbe essere usato come scusa per le azioni manipolative.

Dunque, se la persona non è disposta a cambiare il proprio atteggiamento (magari nonostante labbia promesso più volte, per poi ricascarci), bisogna allontanarsi. Nessuna relazione vale la nostra salute, bisogna mettersi al primo posto e chiudere il rapporto.

È difficile farlo da soli e per questo si può chiedere aiuto quando si ha bisogno di supporto o quando non ci si sente al sicuro.

È facile incolpare stessi per esser stati troppo fiduciosi o vulnerabili, ma non c’è da vergognarsi da biasimarsi. Il gaslighting può accadere a chiunque e in ogni tipo di relazione.

Dott.ssa Valeria Lussiana

Psicologa Psicoterapeuta

CHRISTMAS BLUES – La tristezza da Natale

Christmas Blues…ne avete mai sentito parlare? Pare essere un concetto che indica l’insieme di improvvise sensazioni di tristezza, ansia, nervosismo, angoscia, insonnia e rancore durante i giorni di festività Natalizia.

Qualcuno di voi si starà chiedendo come possa essere vero ciò, come sia possibile essere minimamente giù di morale durante i felici giorni di festa, forse i più belli dell’anno…altri invece potrebbero non stupirsi troppo e trovare un po’ di vicinanza nei contenuti di questo articolo.

Facciamo un piccolo passo indietro, cosa è per noi il Natale? Cosa rappresenta nella nostra società? In che modo quest’ultima ci invita a viverlo?

Nella nostra cultura, il giorno di Natale è tipicamente una festa familiare che inevitabilmente richiama i legami affettivi e familiari ovvero giornate e momenti di incontro con le persone care (partner, figli, genitori, amici…).

Il Natale si pone come grande amplificatore di emozioni (positive e negative) che irrompe nel nostro equilibrio caratterizzato dai ritmi frenetici della vita (sfera professionale, scolastica, sentimentale etc…). La società ci informa di come sia “doveroso” essere felici del Natale, ci ricorda incessantemente la gioia di fare regali e quella di riceverli.

Possiamo immaginare che alcuni di noi vivano tutto ciò con serenità e gioia, non vedendo l’ora che il Natale arrivi, probabilmente avendo dei rapporti distesi e felici con i propri cari.

D’altra parte è presente anche chi, avendo degli aspetti irrisolti, conflittuali e/o del tutto assenti nelle relazioni interpersonali familiari, può far fatica a sintonizzarsi emotivamente con questo periodo dell’anno. Ciò potrebbe provocare in queste persone sensazioni di antipatia, apatia e ansia verso l’evento Natalizio, come se fosse una vera e propria punizione angosciante assieme, a volte, ad una deflessione del tono dell’umore.

In queste persone, a volte, è il sentimento di appartenenza ad inciampare e a far vacillare le proprie credenze, di conseguenza l’evento Natalizio diviene un evento stressante, che fa sentire inadeguati e “strani” poiché la tristezza provata non è in linea con la felicità che la società ci chiede.

Il Natale sembra essere un giorno che non perdona volentieri: può donare gioia o far rattristare la persona in un malessere nascosto ma presente.

Esso può rivelarsi un’occasione per spiacevoli sensazioni di solitudine e/o di vuoto difficili da colmare, un momento in cui dover fare dei bilanci con lo scopo di “tirare le somme” dell’anno appena trascorso (come accade anche durante il giorno del nostro compleanno) come fosse una prova di valutazione della vita in generale e l’esito delle nostre competenze relazionali nei rapporti familiari (di merito, di punizione, di fortuna etc.).

È chiaro come questo malessere possa essere dato, non solo da disagi del presente ma anche da situazioni irrisolte del passato.

La tristezza da Natale ha una durata assolutamente soggettiva, può andare da qualche giorno in piena festività oppure coprire per intero il Calendario dell’avvento fino al successivo anno, quando vengono ripresi gli abituali ritmi di vita che acquietano il nostro mondo psichico interno.

Le persone maggiormente vulnerabili alla Christmas Blues sembrano essere quelle che tendenzialmente non hanno molti contatti sociali e affettivi, quelle coinvolte da problemi oggettivi di lontananza dalle persone care; chi ha vissuto episodi negativi importanti (come un lutto, una separazione, un tradimento, un problema coniugale) e chi è già predisposto ad aspetti clinici depressivi a prescindere dalle festività.

Un percorso di psicoterapia con un professionista della salute mentale può rivelarsi certamente un’occasione per affrontare i significati profondi della propria tristezza Natalizia e comprendere le modalità e le motivazioni con le quali si è manifestata.

Teniamo presente che, essere tristi e malinconici a Natale non indica che siamo sbagliati o inadeguati ma ci ricorda che siamo esseri umani complessi con una propria individualità e storia di vita.

Questo articolo vuole essere un invito a normalizzare le emozioni negative poiché anche queste sono funzionali e dicono tanto su come stiamo, ascoltarle allena la nostra consapevolezza.

Si sconsiglia fortemente così il preporsi di “dover essere” felici a tutti i costi poiché ciò stresserebbe ulteriormente. Quando si vive un momento difficile, è fondamentale quindi prendersi lo spazio e il tempo per esprimere il proprio dolore e, se possibile, condividerlo con qualcuno per lenire il malessere e sviluppare maggiori quote di resilienza.

Quello della Christmas Blues, ricordiamo, non è uno stato patologico e dovrebbe farci preoccupare nella misura in cui invalida pesantemente le giornate.

La psicoterapia è fortemente consigliata qualora questa sia accompagnata più specificatamente da una sintomatologia attinente ad un disturbo d’ansia, un disturbo dell’umore, disturbo da attacchi di panico o altro.

Psico-pillole da tenere in tasca:

Rimanere nell’ hic et nunc ovvero il “qui ed ora”: imparare a vivere appieno e consapevolmente tutto ciò che ci accade nel presente, senza perdersi nei pensieri del passato o del futuro. Coltivare i pensieri positivi allentando rimuginio e i pensieri negativi.

Prendere le distanze da ciò che ci stressa/ci fa stare male, dalle aspettative e convenzioni sociali: limitare quelle attività che facciamo per “obbligo natalizio” (doni, visite, pranzi etc.) imparando a “dire di no” agli incontri con persone che sappiamo ci provocheranno malumore e cercare di aumentare gli incontri gradevoli. Allenare la nostra scelta consapevole rispetto a tutto ciò e limitare anche la consultazione pervasiva di social media per vivere la propria vita reale e non perdersi in quella di altre persone.

Concentrarsi su ciò che ci fa stare bene: dedicarsi a quelle attività piacevoli che aumentano lo stato di benessere mentale e fisico come la lettura di un libro che ci piace, dedicarsi a hobbies, attività fisica, percorrere una passeggiata distensiva (specie nelle ore di luce), ascoltare la propria musica preferita etc.

Coccolarsi: concedersi qualcosa di goloso, farsi un regalo, attività inerenti la cura del proprio corpo o la programmazione di un viaggio futuro donano sensazioni piacevoli.

Recuperare: approfittare del tempo libero da vacanze per dedicarsi ai progetti lasciati in sospeso, mandando avanti pezzi della propria vita.

Riposo: i giorni di festa possono rappresentare l’occasione per riposarsi e dormire di più.

Coltivare le relazioni: mantenere vivi i contatti con le persone alle quali teniamo, anche a distanza, ci fa sentire meno soli e aiuta l’umore.

 

Dott.ssa Maria Grazia Esposito

Psicologa Clinica Psicoterapeuta

SE IL PROBLEMA E’ LA MATEMATICA…

La Matematica non ha mai fatto male a nessuno, ma gli insegnanti di Matematica sì. Sono tante le persone che ritengono di non essere portate per la Matematica o comunque di non avere attitudini. Così possono giustificare i brutti voti alle superiori e l’eventuale scelta di una facoltà universitaria con zero Matematica.

In realtà, i problemi con la Matematica possano essere collegati con due differenti fonti. Può trattarsi di una difficoltà sulla materia, che può essere facilmente risolta con il supporto di un buon insegnante che possa facilitare il recupero di tutte le lacune. Tale insegnante sarà estremamente paziente, non darà nulla per scontato e agirà in modo personalizzato e specifico.

Talvolta però dietro i problemi con la Matematica ci sono delle difficoltà a livello psicologico. E allora ci vuole lo psicoterapeuta. Ma non c’è problema, perché l’Associazione E.C.O. può soddisfare entrambe le esigenze: la prima con il servizio di ripetizioni low-cost e la seconda con il progetto di psicoterapia low-cost.

Peraltro non esiste un unico metodo per insegnare Matematica. Spesso gli studenti ritengono che si tratti di una disciplina che viene trasmessa sempre nello stesso modo, magari perché i loro insegnanti spiegavano la materia in modo dogmatico, ovvero “è così e basta”, come se fosse una religione. Ma la Matematica è una scienza, e – come tutte le scienze – è in continua evoluzione: anche in matematica vengono via via elaborati nuovi strumenti, migliori o comunque più precisi rispetto ai precedenti. Tuttavia, a differenza di altre discipline – ad es. nessuno oggi vorrebbe un vecchio telescopio, in quanto è decisamente più desiderabile quello di ultima generazione, che è più potente, più automatizzato e regala maggiori soddisfazioni – la matematica è come il maiale, nel senso che non si butta via niente. Mi spiego meglio: tutto ciò che è stato dimostrato vero viene tenuto, fino a quando non viene dimostrato falso. Quindi la matematica si accumula sempre di più e diventa un insieme di cose che comunque – prima o poi – possono servire.

A maggior ragione serve un metodo che non dia per scontato tutto ciò che c’era prima, magari Euclide o Pitagora o qualcosa che avete studiato alle medie. Inoltre l’atteggiamento corretto non è quello dogmatico, ma quello che porta lo studente a ragionare, a far domande, a capire e ad avere nuove idee. Ad esempio, non partiamo dalle formule. Prima vengono i concetti: intendo dire che tutti sappiamo che il tagliaerba è una macchina per tagliare l’erba, ma quanti sanno a cosa serve un logaritmo? Perché é stato inventato?

Solo dopo che abbiamo chiarito il concetto possiamo passare ai simboli e infine alla combinazione di simboli che è quella che in generale chiamiamo formula. Poi dobbiamo capire come e quando applicare la formula e da quali pezzi è costituita e se possiamo smontarla per ricavare qualcos’altro.

Proviamo invece a ricercare insieme quali aspetti psicologici intervengono nello studio. Lo studio prevede un’attività di comprensione, di apprendimento, di memorizzazione e di applicazioni. Tutte queste funzioni richiedono: tra le altre risorse, tempo, concentrazione e motivazione.

Ma che succede se ci scontriamo con una difficoltà e non capiamo un argomento, non riusciamo più a studiare, o abbiamo preso un brutto voto o una bocciatura? In questi casi, generalmente la nostra attenzione si focalizza proprio sulla difficoltà, con lo scopo di volerla superare. Tuttavia può così succedere di perdere di vista quello che è il nostro obiettivo. Diventa essenziale quindi riuscire a riscoprirlo e non è un compito così difficile, se ci si pone la domanda giusta: “Perché sto studiando?”. Più complesso può essere dare una risposta, ma questo ci permette di capire se le difficoltà di studio e di concentrazione sono situazionali e specifiche, se si può invece ipotizzare un disturbo d’ansia, che rende faticoso stare sui libri o un calo motivazionale che ci porta a vagare con la mente mentre stiamo studiando.

Non basta il desiderio di superare un esame per avere voglia di studiare, non ci rende efficaci e la nostra performance si abbassa proprio perché le risorse sono indirizzate nella direzione sbagliata, cioè togliere l’ostacolo. La voglia di studiare deve essere ancorata a qualcosa di più profondo e personale, alla nostra curiosità, al desiderio di apprendere e al nostro sogno di sentirci realizzati: in questo modo le nostre risorse non sono più focalizzate sulla difficoltà, ma su noi stessi.

Il supporto psicologico, sfruttando la relazione psicologo-paziente, rende più veloce il processo che ci permette di capire la causa del blocco, riscoprire, rinnovare o modificare i propri obiettivi e di conseguenza imparare a gestire meglio i propri stati emotivi affinché diventino degli strumenti in più a nostra disposizione.

Dopo che tutto ciò è chiaro, allora sarà possibile utilizzare tutti quegli accorgimenti che migliorano il nostro rendimento, come pianificare bene un programma di studi bilanciato, strutturato e personalizzato secondo le proprie caratteristiche e necessità, in modo che il nostro stato psico-motivazionale si mantenga al massimo.

Mi permetto di chiudere ricordando quanto sosteneva Einstein: “L’istruzione è ciò che ci resta dopo che ci siamo dimenticati tutto quello che ci hanno insegnato a scuola”.

 

Dott Trombotto

Prof. Caputo

WORKSHOP sul rilassamento, il litigare e il parlare in pubblico

Segui il link per guardare il video di presentazione dei workshop

https://www.youtube.com/watch?v=5GtLbOxj25c

 

Quest’anno gli psicoterapeuti dell’Associazione Eco hanno partecipato al Festival della psicologia proponendo diversi workshop, che trovate qui di seguito.

 

Attenzione: anche se il festival è finito i workshop sono sempre attivabili. Contattateci a info@ecoassociazione.it per sapere quando ripartiranno.

Eccovi sinteticamente esposte le nostre proposte

Workshop per addetti ai lavori:

  • Strumenti di consapevolezza
  • La raccolta della storia di vita

Workshop per tutti:

  • Attimi di spensieratezza
  • Impariamo  a litigare
  • Parlare in pubblico
  • Emotion/social skill training
  • Uomini che amano le donne
  • Prima delle parole

 

ATTIMI DI SPENSIERATEZZA

Dimenticare lo stress quotidiano e rigenerarsi attraverso un’esperienza diretta di: Training Autogeno, Mindfullness e Ipnosi.

A chi è rivolto?

A tutti coloro che hanno bisogno di ritrovarsi.

Perché farlo?

Il workshop ha lo scopo di avvicinare le persone a tre percorsi possibili per gestire le emozioni, diminuire lo stress E per sfruttare le potenzialità del proprio inconscio.

Verranno illustrati brevemente i percorsi e successivamente li si potrà già sperimentare.

La persona avrà così la possibilità di trovare il percorso che sente a lei più affine ed eventualmente approfondirlo in seguito.

Al termine dell’attività i partecipanti saranno in grado di utilizzare le tecniche acquisite in autonomia.

Chi sono i conduttori?

Dott. Luca Zannino, psichiatra, Training Autogeno

Dr.ssa Luigina Pugno, psicoterapeuta, Mindfullness

Dott. Fulvio Trombotto, psicoterapeuta, Ipnosi.

Come posso iscrivermi?

Per informazioni contattare Dott. Trombotto 335 1688815 info@ecoassociazione.it

STRUMENTI DI CONSAPEVOLEZZA

Acquisire una maggiore consapevolezza di sé attraverso un’esperienza diretta di: Training Autogeno, Mindfullness e Ipnosi.

A chi è rivolto?

A psicologi, psicoterapeuti, medici, studenti di psicologia e medicina.

Perché farlo?

Il workshop ha lo scopo di far conoscere tre percorsi utilizzabili dal professionista per:

  • acquisire alcune modalità efficaci in primis per sé al fine di conoscersi, calmarsi, ricaricarsi e assumere una corretta posizione di distanza/vicinanza col paziente;
  • insegnare ai pazienti ad essere più consapevoli di sé per gestire le emozioni, diminuire lo stress e sfruttare le potenzialità del proprio inconscio.

Verranno illustrati brevemente i percorsi e successivamente li si potrà già sperimentare.

Il professionista avrà così la possibilità di trovare il percorso che sente più affine ed eventualmente approfondirlo in seguito.

Al termine dell’attività i partecipanti saranno in grado di utilizzare le tecniche acquisite in autonomia.

Chi sono i conduttori?

Dott. Luca Zannino, psichiatra, Training Autogeno

Dr.ssa Luigina Pugno, psicoterapeuta, Mindfullness

Dott. Fulvio Trombotto, psicoterapeuta, Ipnosi.

Come posso iscrivermi?

Per informazioni contattare Dr.ssa Pugno 328 8260495 info@ecoassociazione.it

LA RACCOLTA DELLA STORIA DI VITA

Come gli orientamenti psicodinamico, cognitivista, comportamentista e sistemico si approcciano alla raccolta della storia di vita del paziente.

A chi è rivolto?

A psicologi, psicoterapeuti, studenti di psicologia.

Perché farlo?

Il workshop ha lo scopo di far conoscere tre modalità utilizzabili dal professionista per fare la raccolta della storia di vita del paziente adulto, una per ogni orientamento.

Il professionista avrà la possibilità di vedere come i diversi approcci indagano la vita del paziente, notarne sovrapposizioni e differenze alla luce della propria teoria di riferimento.

Verranno illustrati brevemente gli approcci e successivamente li si potrà già sperimentare durante il workshop attraverso simulate.

Chi sono i conduttori?

Dr.ssa Valentina Congedo, psicoterapeuta, orientamento psicodinamico

Dr.ssa Luigina Pugno, psicoterapeuta, orientamento cognitivista

Dr.ssa Eleonora Materazzini, psicoterapeuta, orientamento sistemico

Come posso iscrivermi?

Per informazioni contattare Dr.ssa Congedo 338 5680428 info@ecoassociazione.it

IMPARIAMO A LITIGARE

Rabbia, vergogna, delusione, impotenza ecco alcuni emozioni e vissuti che possiamo vivere durante un litigio e che possono non rendere l’incontro/scontro con l’altro un’opportunità di crescita, ma diventare distruttivo.

A chi è rivolto?

Il workshop è dedicato a:

  • chi sente di non riuscire ad usare la propria rabbia in modo costruttivo
  • chi preferisce evitare i conflitti
  • chi non sa dire di no
  • chi al termine di un litigio si sente perdente

Perché farlo?

Il workshop ha lo scopo di condurre le persone a conoscere meglio il proprio stile comunicativo, presentare tecniche di gestione del conflitto ed esercitarsi in una modalità comunicativa assertiva.

Verranno illustrati brevemente differenti approcci e successivamente li si potrà già sperimentare durante il workshop attraverso simulate.

Chi sono i conduttori?

Dr.ssa Lorena Ferrero, psicoterapeuta.

Dr.ssa Eleonora Materazzini, psicoterapeuta e coach.

Come posso iscrivermi?

Per informazioni contattare Dr.ssa Ferrero 3397787162 info@ecoassociazione.it

PARLARE IN PUBBLICO

“Puoi presentare tu alla riunione di domani?” Se temete queste parole, se la sola idea di parlare in pubblico vi agita, allora questo workshop fa al caso vostro.

A chi è rivolto?

A quanti necessitano nel loro lavoro e/o nel quotidiano di comunicare efficacemente e senza timore, o sentono in generale l’esigenza di migliorare la propria capacità di comunicazione:

Perché farlo?

Verranno esposte le tecniche e le strategie più all’avanguardia per gestire al meglio la propria emotività, vincere la paura di parlare davanti ad un pubblico, e migliorare la forza persuasiva del discorso, che si potranno già sperimentare durante il workshop attraverso simulate.

Chi sono i conduttori?

Dr.ssa Lorena Ferrero, psicoterapeuta.

Dr.ssa Barbara De Tommaso, logopedista.

Come posso iscrivermi?

Per informazioni contattare Dr.ssa Ferrero 3397787162 info@ecoassociazione.it

EMOTION/SOCIAL SKILL TRAINING

Le emozioni sono il sale e pepe della vita. A volte la comprensione di quelle proprie o altrui non è cosa semplice e tantomeno la gestione della propria emotività.

A chi è rivolto?

A coloro che vogliono migliorare il riconoscimento e la gestione delle risposte emotive, accrescere l’empatia.

Perché farlo?

Il workshop ha lo scopo di condurre le persone a comprendere meglio il proprio mondo emotivo e a riconoscere quelle altrui, presentare modalità di gestione delle stesse ed esercitarsi attraverso simulate.

Chi sono i conduttori?

Dr.ssa Lorena Ferrero, psicoterapeuta.

Dr.ssa Luigina Pugno, psicoterapeuta.

Come posso iscrivermi?

Per informazioni contattare Dr.ssa Pugno 328 8260495 info@ecoassociazione.it

UOMINI CHE AMANO LE DONNE. GRUPPO DI RIFLESSIONE.

“Perché lei mi ha lasciato? Dove ho sbagliato? Perché non è più come all’inizio? Cosa vogliono le donne da noi uomini?”

Nella nostra attività di Psicoterapeuti spesso ci capita di imbatterci in uomini che esprimono la loro difficoltà nell’incontro con il genere femminile. Anche quando sono desiderosi e propensi ad innamorarsi, ad iniziare una relazione, a conservarne una in corso, molti si scontrano con la fatica di incontrarsi con l’altro sesso in maniera serena, costruttiva ed egualitaria.

A chi è rivolto?

Agli uomini che amano le donne.

Perché farlo?

Per condividere le proprie difficoltà.

Chi sono i conduttori?

Dott. Alessandro Siciliano – Psicologo, Psicoterapeuta.

Dr.ssa Chiara Delia – Psicologa, Psicoterapeuta.

Come posso iscrivermi?

Per informazioni contattare il Dott. Siciliano 3391255583 info@ecoassociazione.it

PRIMA DELLE PAROLE

La nascita di un bambino porta con sé cambiamenti e scoperte reciproche, gli occhi ed i gesti di genitori e figli si intrecciano in uno scambio comunicativo prezioso ed entrambi imparano ad osservarsi e a capirsi.

Le parole, però, arrivano in un secondo tempo, cosa avviene prima?

A chi è rivolto?

Genitori con figli nella fascia 0-2

Perché farlo?

Il workshop ha lo scopo di avvicinare i genitori all’osservazione e alla migliore comprensione del proprio bambino. Verranno illustrati brevemente i fattori psicobiologici e l’importanza delle relazioni primarie, poi le triadi saranno guidate attraverso griglie strutturate all’osservazione delle prime fasi di sviluppo della comunicazione dei loro bambini: gli sguardi, le azioni, i gesti, i vocalizzi fino alle prime parole.

Al termine dell’attività i partecipanti saranno in grado di utilizzare le tecniche acquisite in autonomia e avranno a disposizione uno strumento efficace per una maggior consapevolezza delle dinamiche di comunicazione e relazione del loro bambino.

Chi sono i conduttori?

Dr.ssa Debora Tonello, psicoterapeuta età evolutiva

Dott.ssa Barbara De Tommaso, logopedista

Come posso iscrivermi?

Per informazioni contattare Dr.ssa Debora Tonello 3397978793 info@ecoassociazione.it

Adamo ed Eva. Perché è così difficile amarsi?

Perché lei mi ha lasciato?

Dove ho sbagliato?

Perché non è più come all’inizio?

Cosa vogliono le donne da noi uomini?”

Nella nostra attività di Psicoterapeuti spesso ci capita di imbatterci in uomini che esprimono la loro difficoltà nell’incontro con il ‘gentil sesso’. Anche quando sono desiderosi e propensi ad innamorarsi, ad iniziare una relazione, a conservarne una in corso, molti si scontrano con la fatica di relazionarsi con l’altro sesso in maniera serena, costruttiva ed egualitaria.

L’altra metà del cielo o per citare la scrittrice Simone de Beauvoir, il secondo sesso, pare in effetti ‘funzionare’ in maniera imprevedibile, incomprensibile e a volte ‘folle’ agli occhi degli uomini, che fanno della razionalità e della logicità la chiave privilegiata di lettura del mondo.

Le donne appaiono così tanto attraenti quanto sfuggenti, accattivanti quanto insidiose, disponibili quanto reticenti e hanno il potere di scardinare certezze, confondere le idee e portare l’uomo a perdersi in luoghi inesplorati della propria mente…e sostanzialmente a non capire cosa sia giusto fare o non fare e che cosa desiderino realmente le donne.

Alcune caratteristiche prettamente femminili, come la mutevolezza e i cambiamenti di umore, spesso spaventano il maschio che è alla ricerca di stabilità.

Negli ultimi decenni sono avvenute alcune ‘mutazioni’ culturali che hanno contribuito a spiazzare il maschio contemporaneo. Da un lato alcune caratteristiche prettamente maschili sono divenute patrimonio femminile generando confusione e difficoltà nell’individuare i ruoli. Le donne hanno iniziato a istruirsi divenendo in alcuni casi più colte dei propri coetanei, si sono liberate ed emancipate, hanno iniziato a scegliere il partner e a non attendere di essere corteggiate, hanno raggiunto vertici sociali e professionali inimmaginabili fino a pochi decenni fa. Tutto ciò ha messo in discussione i ruoli sociali che ora non sono più rassicuranti né facilmente definibili ed ha avuto importanti ripercussioni sulla sfera identitaria e relazionale dell’uomo.

Inoltre da un punto di vista sociale, i cambiamenti avvenuti (introduzione della legge sull’aborto o quella sul divorzio) hanno scardinato molte certezze, ad esempio il concetto di inscindibilità della famiglia, che prima di allora non erano mai state messe in discussione e che fornivano una fonte di rassicurazione per l’uomo.

L’uomo non immaginava che la donna prescelta potesse smettere di amarlo e lasciarlo. Le regole sociali precedenti non prevedevano tale eventualità. Oggi è cambiato lo scenario: la donna è ormai libera di scegliere il partner e di cambiarlo. L’uomo messo di fronte a tali incertezze reagisce spesso in maniera inadeguata.

Alcuni risolvono la questione con una odiosa e perniciosa svalutazione del femmineo, altri con la scelta della solitudine e dell’allontanamento dal rapporto di coppia, altri ancora con un sostanziale senso di perenne smarrimento e annichilimento.

Per quanto sopra citato e in base alla nostra esperienza clinica riteniamo che occorra imparare, riflettere e lavorare su come la costituzione e la manutenzione costante della coppia con la donna amata sia realizzabile nel migliore dei modi.

La figura dello Psicologo può contribuire a esplorare i vissuti connessi all’immagine del maschile e del femminile per aiutare chi si trovi in un momento di difficoltà favorendo una maggior consapevolezza delle proprie risorse.

Un percorso emotivo, accompagnato da un professionista, che permetta a ciascuno di meglio conoscere e sostenere i propri aspetti virili e, nel contempo, avvicinarsi alle differenze esistenti con “l’altra metà del cielo”.

Favorendo con ciò la consapevolezza di accostarsi ad un modo di vivere e pensare diverso dal proprio, ma forse anche per questo, capace di completarli e arricchirli. Insomma, citando Platone, è solo dall’unione dei due mondi, maschile e femminile, che ognuno può trovare “l’antica perfezione”.

Dott. Alessandro Siciliano

Psicologo e Psicoterapeuta

Dott. ssa Chiara Delia

Psicologa e Psicoterapeuta

EVENTO PRESSO CAFFE’ BASAGLIA via Mantova, 34 Torino

Venerdì 27/01 alle ore 21.00 presso il Caffè Basaglia, l’Associazione ECO organizza un incontro gratuito aperto a tutti gli studenti universitari.

Ogni giorno ci poniamo dei traguardi da raggiungere. Per uno studente universitario il traguardo più ambito è la Laurea. Spesso però i maggiori ostacoli al raggiungimento degli obiettivi provengono proprio dai limiti che noi stessi ci poniamo, e si possono sviluppare vissuti di ansia, insoddisfazione, inadeguatezza, sconforto.

Per raggiungere i risultati desiderati e superare gli esami è indispensabile eliminare tutto ciò che mentalmente ci impedisce di avere chiarezza sugli obiettivi.

Il programma dell’incontro:

Confronto aperto sulle cause che possono rallentare il percorso universitario fino a favorirne l’abbandono

– Difficoltà “estrinseche” (inserimento, essere fuorisede, essere studente-lavoratore, ecc)

– Difficoltà “personali” (vissuti di ansia, insoddisfazione, sconforto, ecc)

– Difficoltà “specifiche sulla materia” (comprensione della materia, reperire il materiale, affrontare l’esame)

Nella seconda parte dell’incontro si parlerà di quali strumenti posso essere di aiuto per eliminare tutto ciò che ci impedisce di avere chiarezza sugli obiettivi.

Rispetto alle difficoltà estrinseche:

  • La “vision”: definire gli obiettivi ed elaborare un piano d’azione che ci permetta di raggiungerli

  • L’immagine di sè: autostima e credenze limitanti al raggiungimento degli obiettivi

  • Motivazione: dal paradigma del “devo” a quello del “voglio”. La cultura dell’impegno

  • Gestire le emozioni lavorando sulle nostre conversazioni interne

  • Comunicare con efficacia con sé e con gli altri

Rispetto alle difficoltà personali:

  • Conoscere meglio se stessi da un punto di vista emotivo, cognitivo e comportamentale

  • Riconoscimento dei propri modelli operativi interni disfunzionali

  • Acquisizione di nuovi modelli operativi efficaci

  • oggi per un domani soddisfacente

Rispetto alle difficoltà “specifiche sulla materia”:

  • studiare la materia

  • Conoscere le modalità dell’esame

  • Programmare in modo strutturato l’esame

    I relatori della serata saranno il dott. Trombotto (psicoterapeuta), la dr.ssa Materazzini (psicoterapeuta e coach) e il professor Caputo (docente)

L’ABBANDONO UNIVERSITARIO: UNA RICERCA

La nostra attività di psicoterapeuti presso l’Associazione E.C.O. ci porta spesso in contratto con studenti appartenenti a diverse Facoltà Universitarie in difficoltà nel loro percorso di studi. Il lavoro sviluppato con loro ci ha permesso di interrogarci, confrontarci e crescere su un tema importante, quello dell’abbandono degli studi.