Autore: <span>Eco Associazione</span>

Mollare la presa. Lasciar andare.

Non ce la faccio, non posso, è tutta colpa mia, mi sento in dovere di…
Quante volte abbiamo pronunciato queste frasi? E quante volte questi pensieri ci hanno impedito di fare quello che avremmo voluto, di raggiungere un obiettivo, di vivere con maggior serenità un momento di difficoltà o di crisi?
Basiamo la nostra vita su delle convinzioni, che ci accompagnano e ci definiscono. Ma se le convinzioni che abbiamo su di noi fossero limitanti?
Forse siamo convinti di essere timidi, insicuri, inadeguati nel lavoro o nello studio, incapaci di gestire una relazione di coppia o piuttosto ci colpevolizziamo eccessivamente per ciò che accade.
Alcune delle nostre convinzioni, trasmesseci da genitori, insegnanti, compagni di classe o colleghi di lavoro, rappresentano una vera e propria prigione da cui sembra difficile poter uscire; abbiamo ereditato delle idee in cui abbiamo creduto, che sono cresciute in noi e che oggi sono divenute convinzioni che ci auto-limitano.
La “perseveranza della credenza” è il principio psicologico secondo il quale, una volta che crediamo in qualcosa (ad esempio: sono una persona noiosa e per questo non ho amici) tendiamo a cercare conferme a tale credenza e a rigettare le situazioni che rispetto a tale credenza si mostrano in contrasto.
Talvolta capita di aderire all’etichetta che il mondo ci attribuisce e di comportarci secondo quanto previsto da quell’etichetta, ma prendendo consapevolezza del fatto che le nostre convinzioni si sono basate su eventi che un tempo ci hanno scosso, ma che oggi hanno una rilevanza relativa, possiamo cambiarle.
Il workshop “mollare la presa dai pensieri auto sabotanti” insegna ad abbandonare le vecchie convinzioni che ci limitano, le abitudini mentali nocive, i sensi di colpa, gli obblighi inutili e ad accettare la realtà per vivere la nostra vita nel qui e ora.

Imparare ad accettare il proprio corpo 2018

Quanto ciascuno di noi può dire di essere davvero consapevole del proprio corpo? Quanto possiamo dire di conoscerlo, di sentirlo, di saper ascoltare e rispondere ai segnali che esso ci invia? Quanto siamo consapevoli dell’influenza che il rapporto con il nostro corpo esercita sulla nostra autostima, sul nostro stato d’animo, sulle relazioni sociali?

Il corpo è una parte essenziale della persona, è una delle componenti principali del nostro Sé. Esso ci contiene, ci accoglie, spesso si fa portavoce di malesseri psicologici che nel fisico trovano sovente una via d’espressione privilegiata. Il corpo non mente, comunica il nostro stato interiore, ci mette in comunicazione con il mondo esterno diventando il tramite di ogni nostra esperienza.

Da ciò deriva l’importanza di curare il rapporto con il nostro corpo, di prendere coscienza di eventuali difficoltà ad accettare parti di sé, difficoltà che se non adeguatamente accolte e gestite, possono generare importanti disagi e sofferenze.

In una società dominata dall’apparenza, dall’esteriorità, dai cosiddetti selfie che serpeggiano sui social network, e che ci portano spessissimo a confrontarci con immagini corporee perfette e prive di qualsivoglia difetto, può essere davvero utile fermarsi a riflettere, dedicare del tempo a se stessi per migliorare la relazione con quest’importante parte di sé, meritevole di ascolto e attenzione.

Durante questo lavoro su di sé, è importante innanzitutto prendere coscienza dell’immagine che si ha del proprio corpo e del grado d’insoddisfazione ad essa associata. Successivamente è utile rilevare i pensieri e i giudizi sul nostro aspetto, che spesso sono i nostri giudici più spietati, e imparare a sostituirli con pensieri più efficaci e funzionali; parallelamente è fondamentale individuare e modificare i comportamenti inadeguati e limitanti, che riflettono il vissuto relativo all’immagine esteriore alimentando l’insoddisfazione corporea.

Questo workshop si propone di portare l’attenzione al corpo e ai vissuti collegati, mira alla presa di coscienza del proprio grado di insoddisfazione corporea e all’acquisizione di strumenti utili a favorire pensieri più realistici nonché l’adozione di comportamenti coerenti con i valori di ciascuno, al fine di favorire un rapporto più sano, autentico e realistico con il proprio corpo.

Destinatari:

  • Chi sente di avere difficoltà ad accettare del tutto o in parte il proprio corpo

  • Chi, guardandosi di fronte allo specchio, prova fastidio o aperto disagio

  • Chi ha pensieri negativi su di sé in relazione al proprio corpo

  • Chi ritiene che spesso il suo comportamento sia influenzato dalla propria immagine corporea

  • Chi insegue il perfezionismo

  • Chi ricerca la propria immagine riflessa per controllare il proprio aspetto

Metodo didattico

Il workshop sarà realizzato all’interno di un piccolo gruppo condotto da due psicoterapeute; i partecipanti saranno coinvolti attivamente attraverso esercitazioni pratiche, avranno modo di sperimentarsi e apprendere strumenti concreti per sviluppare e mantenere una migliore relazione con se stessi e il proprio corpo.

Conduttori

Dott.ssa Pugno Luigina, psicoterapeuta

Dott.ssa Querin Katia, psicoterapeuta

Costo

offerta libera a persona iscritti Ass. Eco 

10,00 euro tutti gli altri e  convenzionati

Data, ora, luogo di svolgimento

sabato 29 settembre 2018 dalle ore 16.30 alle ore 18.00 in Via Giaglione 7- Torino

Come posso iscrivermi?

Per informazioni e iscrizioni contattare i seguenti recapiti:

info@ecoassociazione.it

Dr.ssa Querin 3396711781

Compilare il form di contatto qui sotto, specificando il workshop

    IMPARARE AD ACCETTARE IL PROPRIO CORPO

    Tutti abbiamo qualcosa del nostro corpo che non ci piace. L’elenco delle “imperfezioni” che una persona può trovarsi può andare dai capelli diradati e dal soprappeso fino alle ciglia corte.

    L’immagine corporea si compone di 3 aspetti:

    • la componente percettiva (o distorsione corporea), ovvero come si percepisce il proprio fisico;
    • la componente attitudinale (o insoddisfazione corporea) costituita dall’insoddisfazione, preoccupazione e/o ansia che si prova per il proprio corpo;
    • la componente comportamentale, ovvero quei comportamenti volti ad “aggiustare” l’imperfezione o a non confrontarsi con essa.

    L’immagine corporea si forma durante l’infanzia attraverso il contatto fisico con le figure di attaccamento, i rimandi che si ricevono e la percezione delle differenze tra noi e gli altri (ad esempio “A 9 anni avevo già il seno, nessuna delle altre bambine ce l’aveva. Questo mi rendeva diversa da tutte e mi faceva stare male”). Poi ci sono le influenze del presente: i pensieri, le emozioni e i comportamenti che si attuano in relazione al proprio corpo.

    Quando l’immagine corporea è negativa, questa può avere effetti:

    • sull’autostima
    • nelle relazioni sociali
    • nei rapporti sessuali
    • sul tono dell’umore
    • sull’alimentazione
    • sul portafoglio

    L’insoddisfazione corporea è ciò che si prova a livello emotivo per il corpo e si manifesta quando c’è una discrepanza tra la realtà del proprio fisico e il come lo si vorrebbe. Ha quindi un’origine psichica.

    Innanzitutto è importante essere consapevoli dell’ampiezza della propria insoddisfazione e se è di grado marcato, farsi aiutare da uno psicologo.

    Per esserne consapevoli si possono scrivere le emozioni, i pensieri e i comportamenti che si hanno verso il proprio aspetto, si possono scrivere anche le parole che si usano per descrivere le parti che non piacciono.

    Successivamente bisogna lavorare sul non far coincidere i pensieri e le emozioni con sé stessi. I pensieri influenzano lo stato emotivo, come lo stato emotivo influenza i pensieri. Non si può avere un controllo sull’emergere di pensieri ed emozioni, ma si può lavorare per modificarli una volta che si sono presentati.

    Pensieri ed emozioni influenzano poi il comportamento (ad esempio stare in spiaggia sempre con il pareo e toglierlo solo per entrare in acqua o quando si è sdraiati supini, oppure truccandosi tutti giorni, oppure indossando abiti un po’ più larghi per nascondere la magrezza o mancanza di muscoli). È importante individuare i comportamenti che sono conseguenza dell’insoddisfazione corporea e che, una volta attuati, contribuiscono a mantenere una visione negativa di sé, e sostituirli con altri più costruttivi.

    Se fare tutto ciò da soli vi sembra difficile potete prendere parte al nostro workshop Imparare ad accettare il nostro corpo.

    Per saperne di più clicca qui.

     

    Dr.sse Pugno e Querin

    La sindrome di Ulisse: quando vivere all’estero è dura

    In totale, in questo istante un miliardo

    di abitanti del pianeta vive l’esperienza dell’emigrazione.

    Un terzo dell’umanità si sente psicologicamente sul piede di partenza,

    disponibile o costretto, attirato o rassegnato

    a doversi rifare una vita “altrove”. 

    (Federico Ramponi, 2012)

    L’Associazione Eco propone ormai da 7 anni il Progetto “Psicoterapia low cost” con lo scopo di dare a tutti coloro che ne fanno richiesta, in difficoltà economica o meno, la possibilità di effettuare una psicoterapia di qualità a costi contenuti.

    L’iniziativa ha avuto molto successo diffondendosi soprattutto tra gli studenti e i giovani lavoratori di Torino e Provincia. Negli ultimi due anni però ci siamo accorti che sono aumentate le richieste da parte di pazienti di origini estere nonché quelle di coloro che si sono spostati dall’Italia per motivi di studio e lavoro.

    In particolare abbiamo lavorato, in studio o via Skype, con persone provenienti da o residenti in diverse parti del mondo: Marocco, Iran, Gran Bretagna, Madagascar, Turchia, Romania, Perù, Germania, Austria, Olanda, Portogallo, Gran Bretagna, USA, Cina.

    Il lavoro con questa fascia di persone ci ha permesso di approfondire i vissuti di chi si trasferisce in una terra straniera e sono emerse alcune criticità che accomunano coloro che si trovano ad affrontare un così grosso cambiamento.

    La decisione di partire può essere dettata dal desiderio di fare nuove esperienze, di conoscere nuove persone, di imparare una lingua e di immergersi in un contesto diverso dal proprio anche per mettersi alla prova; in altri casi invece può non esser frutto di una libera scelta ma della necessità di trovare lavoro o di venire incontro alle esigenze della propria azienda, o ancora, alle esigenze di un partner costretto a trasferirsi.

    Qualunque sia il motivo alla base, partire è un’esperienza psicologica complessa per tutti. Essa comporta una fase di crisi fisiologica, perché costringe ad una riorganizzazione radicale della propria vita che influisce, almeno momentaneamente, sul proprio senso di identità. Infatti, i legami con le persone significative, le proprie cose, la propria lingua, il clima e le abitudini sono perduti e inizialmente può prendere il sopravvento un forte sentimento di estraneità verso il nuovo ambiente di vita.

    Questa situazione va sotto il nome di Sindrome di Ulisse, o sindrome dell’emigrante, e può portare ad idealizzare il proprio paese di origine, nel quale tutto era bello ed idilliaco e a svalutare il paese di arrivo, come fonte di disagio o sofferenza. Allo stesso modo, si può verificare anche l’esatto opposto, elevando il paese ospitante come terra promessa per la risoluzione di tutti i propri problemi e denigrando il proprio paese come luogo dal quale è stato necessario fuggire, causa di tutti i mali.

    Entrambi questi comportamenti, se portati all’estremo, possono essere considerati dei disturbi emotivi, in cui l’esaltazione o la svalutazione eccessiva di un posto o dell’altro sono il risultato di una distorsione della realtà sull’onda dell’emotività.

    Questo perché ritrovarsi in un terreno inesplorato può causare un certo disequilibrio emotivo e portare a sensazioni di disagio, se non di paura, nel dover affrontare una situazione di cambiamento con il conseguente timore del fallimento o della solitudine o, più semplicemente, sentimenti di ansia per la rottura degli equilibri precedenti e le incognite che verranno.

    Ecco che i punti di tensione che possono insorgere solitamente ruotano intorno a questi 4 cardini:

    • La solitudine: all’inizio può non essere facile trovarsi lontano dai propri affetti e circondati da persone, anche piacevoli e simpatiche, ma con le quali si condivide ancora poco. Costruire rapporti solidi e profondi richiede tempo e si può provare nostalgia per le proprie amicizie più strette e faticare per l’assenza di momenti di condivisione e sfogo.

    • La paura: questa emozione, normale in ogni fase di passaggio, può riguardare il timore del cambiamento, il timore di non farcela, di non riuscire ad adattarsi, di non riuscire ad inserirsi oppure di fallire e di deludere. Quando le cose non vanno come sperato o ci si trova ad affrontare più ostacoli del previsto possono affiorare vissuti di depressione, di ansia, di insicurezza e di insoddisfazione verso se stessi.

    • L’estraneità e lo spaesamento: ricominciare la propria vita in un altro paese mette in discussione tutti i propri punti di riferimento. Le sicurezze e le abitudini che si avevano prima di partire si scontrano con un nuovo contesto, una nuova casa, nuovi ritmi ed usanze, cibi diversi, ma anche nuove convinzioni, nuove passioni o obiettivi. Cambiare è certamente positivo sotto il profilo della crescita personale ma comporta una sorta di sradicamento dal proprio passato quando però il background di destinazione è ancora in costruzione.

    In questa fase ci si può sentire divisi a metà tra due mondi: lasciarsi contaminare dalla cultura “adottiva” è necessario affinché l’inserimento vada a buon fine ma è allo stesso tempo importante non rinunciare del tutto alla propria! L’identità, infatti, è una struttura che si plasma continuamente in funzione delle nostre interazioni, dei rapporti che instauriamo con gli altri e della nostra cultura di appartenenza. Mantenere la capacità di percepirsi costanti pur in questo continuo fluttuare delle situazioni e degli incontri che si vivono può non essere semplice e causare sentimenti di estraneità.

    • La gestione delle relazioni: solitamente, la scelta di trasferirsi riguarda la persona che decide o si trova costretta a fare il salto ed è volta esclusivamente al bene della stessa. I famigliari, i compagni o gli amici, per quanto possano dissimulare la tristezza e cercare di essere contenti e supportivi, subiranno un allontanamento che può non essere facilissimo da affrontare. Questa consapevolezza può determinare sentimenti di colpa in chi parte o preoccupazione verso chi resta.

    Inoltre, benché oggi spostarsi sia diventato più semplice e più rapido, non sarà comunque possibile rientrare ogni volta che lo si desidera. Fare delle scelte, quindi, diventa necessario ma anche molto difficile: tornare per il matrimonio della migliore amica o per la festa dei 90 anni del nonno?

    Inoltre, benché desiderati, i ricongiungimenti dopo lunghe separazioni sono momenti delicati che possono causare anche tensioni: si tratta di ri-conoscere gli altri, anche i parenti stretti, e ricostruire ogni volta il contatto e la relazione. Per tutti questi motivi, i rapporti possono soffrire della distanza e finire col deteriorarsi o interrompersi se non si trovano delle modalità efficaci di gestione dei vissuti emotivi.

    Tutti questi elementi possono influenzare la nostra psiche e il nostro corpo attraverso sintomi quali:

    • Difficoltà respiratorie

    • Disturbi dell’alimentazione o del sonno

    • Disorientamento e sintomi dissociativi

    • Apatia o depressione

    • Isolamento e difficoltà a relazionarsi

    • Ansia e attacchi di panico

    • Pianto improvviso o incontrollabile

    • Nervosismo

    • Preoccupazioni eccessive e pensieri ricorsivi

    • Mal di testa, nausea e altri disturbi psicosomatici

    Tuttavia, nonostante la condizione di “migrante” riguardi ormai più di un terzo dell’umanità, il disagio psicologico di queste persone viene poco pensato e riconosciuto. Vivendo in un epoca in cui, grazie agli smartphone e alla tecnologia, è possibile accorciare moltissimo le distanze fisiche e superare le barriere spaziali si sta costruendo un’idea comune di “cittadini del mondo”, in grado di muoversi e adattarsi senza limiti e senza alcun tipo di ripercussione emotiva; come se i normali sentimenti di disagio o di nostalgia fossero ormai un intralcio alla produttività e al progresso.

    Nell’esercizio della nostra attività professionale è capitato anche di imbattersi in persone che dopo il rientro da esperienze di lavoro o di studio all’estero, presentano problematiche psicologiche ormai cronicizzate poiché vissute in solitudine e senza un adeguato supporto. La loro sofferenza sarebbe stata sicuramente più contenuta se avessero potuto trovare già all’estero qualcuno a cui rivolgersi per trattare il malessere nel momento stesso in cui si era manifestato. Spesso ciò accade per l’assenza di una lingua comune che permetta di esprimere i propri pensieri ed emozioni anche in terra straniera.

    Per questo, l’Associazione Eco, ha pensato alla necessità di offrire una dimensione empatica e di dialogo per chi vive in terra straniera in modo da creare uno spazio psicologico dove sentirsi riconosciuti, dove collocarsi e ricostruire un filo conduttore della propria esistenza e dove superare i momenti di “scollamento” in cui l’individuo si sente spaesato e rischia di sviluppare modalità di sopravvivenza inefficaci, con ripercussioni sul successo lavorativo o scolastico.

    Non potendo offrire un servizio in tutte le lingue del mondo abbiamo pensato all’Inglese come mezzo efficace per abbattere le barriere nell’ambito di una seduta psicologica, essendo ormai la lingua più importante per gli scambi e parte del bagaglio delle nuove generazioni!

    Da qui nasce il nuovo progetto di Terapia Psicologica in Inglese per rispondere alle crescenti richieste provenienti dai numerosi stranieri che abitano il nostro territorio e che non padroneggiano abbastanza bene l’italiano da intraprendere un percorso nella nostra lingua.

    Il percorso previsto dal Progetto Psychological Therapy in English prevede pacchetti di 10 sedute ad un prezzo agevolato per gli studenti e lavoratori in difficoltà, a partire da 250€. Il primo colloquio, conoscitivo e informativo, ha un costo di 10 €.

    Per avere maggiori informazioni contattaci!

    Associazione Eco 

    http://ecoassociazione.it/

    Dott.ssa Valeria Lussiana

    3402248813

     

     

    Stalking: aspetti noti e meno noti

    Il 3 novembre 2017 a Torino l’Associazione Eco (www.ecoassociazione.it) ed il Centro Clinico Crocetta (www.centroclinicocrocetta.it) hanno organizzato una tavola rotonda, aperta alla cittadinanza allo scopo di comprendere a fondo i fenomeni collegati della dipendenza affettiva e delle molestie assillanti e ripetute, comportamenti di cui lo stalking è il fenomeno che dilaga maggiormente. Dalla dipendenza affettiva, se rifiutati o se il partner interrompe la relazione, si può scivolare nello stalking.

    Il Dott. Massimo Zedda (www.massimozeddapsicologo.it), che da anni si occupa e studia le molestie presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino, e le colleghe psicologhe e psicoterapeute, Dott.sa Lorena Ferrero (www.studiopsicologotorino.it) e Dott.ssa Luigina Pugno (www.psicoterapiasessuologiatorino.it), si sono confrontati sul tema partendo dalla loro esperienza clinica con pazienti con dipendenza affettiva o vittime di comportamenti assillanti e continuati.

    Dall’incontro è emerso che il fenomeno è conosciuto soprattutto nelle casistiche più estreme, anche per i fatti di cronaca, e che la prevenzione primaria, nella forma di discussioni rivolte al pubblico potrebbe portare ad un aumento della consapevolezza del fenomeno, soprattutto dal punto di vista delle ricadute psicologiche negative sulla qualità della vita percepita.

    Inoltre è emersa la scarsa conoscenza del fenomeno dal punto di vista maschile, come vittime, e delle molestie perpetrate tra partner con orientamento sessuale di tipo omosessuale. Ciò ha comportato una carenza di risposte di aiuto dedicate a queste persone.

    I professionisti ritengono che servizi inclusivi rivolti anche a soggetti difficilmente raggiungibili, come gli uomini e le persone omosessuali, potrebbero migliorare la qualità della loro vita, con forti ricadute positive sulla collettività, in un’ottica di prevenzione terziaria.

    Infine, si è evidenziato che servizi volti ad aiutare i soggetti con dipendenza affettiva, uomini e donne, possa ridurre il numero di futuri ipotetici molestatori (prevenzione secondaria), in quanto, come emerge dalla letteratura specifica, il rifiuto in una relazione romantica può indurre l’aumento del livello di aggressività del rifiutato innamorato. In questo frangente il beneficio è ulteriormente incrementabile qualora uno stalker inconsapevole venga a conoscenza delle dinamiche interpersonali disfunzionali che mette in atto. inserendole bonariamente in una cornice di significato caratterizzato dal sano corteggiamento.

    Dott. Ferrero, Pugno e Zedda

    tavola rotonda sul tema dello stalking

    Una tavola rotonda sul tema dello stalking e dipendenza affettiva per riflettere su come i fenomeni siano trasversali nella quotidianità e colpiscano numerosi soggetti.

    Oltre a presentare il fenomeno dal punto di vista psicologico, ampio spazio verrà concesso per capire la reale consistenza e gravità delle molestie allo scopo di realizzare interventi preventivi più precisi.

    Saranno presenti:

    • Dott. Massimo Zedda, psicologo e psicoterapeuta del Centro Clinico Crocetta, Professore a contratto presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli studi di Torino, esperto e studioso del fenomeno delle molestie assillanti e comportamenti violenti

    • Prof. Fabio Veglia, psicologo e psicoterapeuta, direttore del Centro Clinico Crocetta, Professore ordinario di Psicologia clinica presso la Facoltà di Psicologia dell’Università di Torino

    • Dott.ssa Lorena Ferrero, psicologa e psicoterapeuta dell’Associazione Eco, esperta in dipendenze

    • Dott.ssa Luigina Pugno, psicologa e psicoterapeuta dell’Associazione Eco, presidente dell’Associazione Eco, esperta in Disturbo post traumatico da stress.

    L’incontro si terrà venerdi 3 novembre 2017 dalle ore 10.00 alle ore 12.00 presso il Centro Clinico Crocetta, Via G. Ferraris 110, Torino.

    Posti limitati, telefonare per prenotare:

    Tel: 3397787162
    Email:  ecoassociazione@gmail.com

    L’EDUCAZIONE DEI NATIVI DIGITALI

    L’Associazione Eco organizza 3 incontri dedicati all’educazione dei nativi digitali da parte di genitori ed insegnanti

    M. Prensky, nel 2001, coniò l’espressione nativi digitali per indicare i bambini nati a partire dagli anni ’90, che conoscevano e interagivano con le nuove tecnologie digitali da sempre. Con il termine immigrati digitali indicò noi adulti, genitori e professionisti, che abbiamo dovuto apprendere successivamente l’utilizzo di queste nuove tecnologie, inesistenti quando eravamo bambini.

    Come sostiene E. Chiapasco (2015), queste tecnologie non sono solo un insieme di nuovi strumenti, ma un fenomeno culturale che sta cambiando il modo di pensare e di stare in relazione con gli altri. L’educazione impartita da genitori e insegnanti deve considerare anche le nuove tecnologie, fin dalla più tenera età. I bambini, già dalla scuola dell’infanzia e primaria, osservano gli adulti che utilizzano continuamente smartphone e computer; li usano a loro volta, acquisendone una rapidissima padronanza, per guardare su Youtube i cartoni animati che amano, per ascoltare le canzoni preferite, per fare le ricerche per la scuola, per contattare i compagni di classe. I genitori devono supervisionare il più possibile queste attività, ma non possono essere ovunque; a un bambino basta un cellulare dismesso in cui attivare la connessione wi-fi per addentrarsi nel mondo virtuale e cercare risposte alle sue mille curiosità. L’educazione deve includere anche indicazioni su come ci si muove in questo mondo, abitato e vissuto dai bambini e dai ragazzi tanto quanto quello reale.

    Rispetto ai cervelli degli immigrati digitali, quelli dei nativi ricevono da sempre una grande quantità di input veloci. Sono abituati a gestire i processi di apprendimento in modo parallelo, svolgendo contemporaneamente più compiti o funzioni. Preferiscono la grafica al testo, piuttosto che il contrario; prediligono una modalità di accesso non ordinata e sequenziale alle informazioni.

    Gli immigrati preoccupati da questo cambiamento, devono considerarlo in termini evolutivi; non sono costretti a modificare il contenuto degli insegnamenti da trasmettere alle generazioni successive, ma le modalità: il linguaggio, le esperienze e i supporti per l’apprendimento. Allo stesso tempo, non possono fare alla leggera la scelta di acquistare un computer, un telefono cellulare, un tablet o un videogioco. Mettere in mano ai bambini uno strumento ipersofisticato apre loro un mondo di possibilità con un potente impatto pratico e psicologico, al quale devono essere preparati. Per di più, se anche hanno la capacità materiale di usare uno strumento tecnologico, non significa che lo sappiano utilizzare responsabilmente. Gli immigrati digitali devono restare aggiornati e informarsi sui rischi e sulle potenzialità delle nuove tecnologie, per poterne parlare con figli, studenti e pazienti.

    I potenziali pericoli legati all’uso massiccio di internet e delle nuove tecnologie sono:

    • sviluppare una dipendenza (passare molto tempo su internet, tanto da non riuscire a portare a termine i propri compiti di studio o lavoro, usarlo come via di fuga dai problemi reali);

    • attuare o subire comportamenti di cyberbullismo;

    • il sexting (ricevere o inviare messaggi, fotografie o video a contenuto sessuale)

    • essere adescati da pedofili, da organizzazioni terroristiche o da siti che incoraggiano comportamenti pericolosi per la salute psicofisica.

    Ci sono anche pericoli specificamente legati a un utilizzo eccessivo dei social-network:

    • essi forniscono un’alta visibilità con il rischio di una sovraesposizione indesiderata di sé;

    • offrono dei feedback e un controllo sociale costante che influenzano la costruzione dell’identità e la considerazione di se stessi. Se l’autostima si basa su di essi ha fragili fondamenta, poichè dipende dall’approvazione ricevuta dagli altri, con scarse ricadute strutturali o reali;

    • le relazioni virtuali non si collocano in un luogo fisico e sensoriale condiviso, nè hanno vincoli spazio-temporali; ciò rende i ragazzi meno avvezzi alle relazioni reali. Inoltre, l’assenza di un rapporto vis-a-vis elimina la comunicazione non verbale e la corporeità degli interlocutori.

    • paradossalmente, se le relazioni virtuali sostituiscono quelle reali, può aumentare il senso di solitudine e il ritiro sociale.

    Quando scriveva il suo articolo, M. Prebsky aveva già notato una diminuzione della capacità di usare il pensiero riflessivo da parte dei nativi; sono passati meno di vent’anni da allora e, in questo lasso di tempo, l’uso di internet e dei social network si è diffuso in modo massivo. Gli adulti che si occupano di bambini e ragazzi hanno osservato altri segnali di disagio nei nuovi nativi digitali e in quelli ormai cresciuti:

    • diminuisce la capacità di stare soli, di tollerare i limiti e di mettere dei confini;

    • la comunicazione non verbale sembra cadere in disuso;

    • il rapporto con il proprio corpo, in termini di sensazioni ed emozioni, è più difficoltoso.

    Queste funzioni psichiche fanno parte di un repertorio di abilità che devono essere coltivate nello sviluppo di ciascun individuo. Esse non sono state compromesse tout cour dall’avvento delle nuove tecnologie, ma, sicuramente, il loro uso pervasivo ne rende più complicata l’acquisizione.

    Internet e le nuove tecnologie non sono un fenomeno da demonizzare; danno spazio alla creatività e alla libertà di espressione personale, offrono opportunità informative, relazionali e professionali. Sarebbe impossibile censurarli; basta riflettere sul fatto che anche la maggior parte degli immigrati digitali è ormai connessa alla rete ventiquatt’ore su ventiquattro.

    M. Prebsky definì due tipi di sfide a cui noi immigrati digitali non possiamo sottrarci: “imparare cose nuove” e “imparare nuovi modi di fare cose già fatte”, senza riuscire a determinare quale delle due fosse la più difficile.

    Per questo abbiamo bisogno di una formazione specifica tenuta da esperti sia delle nuove tecnologie, che dell’età dello sviluppo. Ci sono compiti evolutivi che tutti i ragazzi devono affrontare, così come li abbiamo superati noi nella nostra adolescenza: la separazione, la costruzione dell’identità, l’autonomia. Cambiano il contesto e i mediatori delle esperienze che servono a raggiungere questi scopi. Per farlo nel migliore dei modi, i ragazzi hanno bisogno di figure di riferimento ben equipaggiate, che conoscano le nuove tecnologie e siano in grado di parlarne con loro.

    Autrice Dr.ssa Valentina Congedo

    Supervisione Dott Stefano Lagona e Dr.ssa Luigina Pugno

    Bibliografia

    Berti M., Valorzi S., Facci M., 2017, Cyberbullismo: guida completa per genitori, ragazzi, insegnanti, Reverdito Editore.

    Cario M., Franco G., Arbrun R., Ferraud M., Chiapasco E., 2014, Cyberfriends. Il valore dell’amicizia i tempi di internet, www.csptech.org/articoli-e-pubblicazioni

    Chiapasco E., 2015, La rivoluzione culturale di Internet. Una nuova sfida educativa, www.csptech.org/articoli-e-pubblicazioni

    Kettmaier M., 2017, Il rischio internet-correlato alle scuole medie: uno strumneto di indagine per l’intervento nelle classi, www.stateofmind.it/2017/04

    Prensky M., 2001, Nativi digitali e immigrati digitali, www.laricerca.loescher.it/istruzione

    Prensky M., 2001, La mente nuova dei nativi digitali, www.laricerca.loescher.it/istruzione

    L’uso della storia di vita nel lavoro con l’anziano: attività e creatività

    https://www.youtube.com/watch?v=jjZTdaeglpA

    Non ho niente da dire”: queste le parole di Giulia, un’anziana signora di 85 anni che mi accoglie dopo le presentazioni. Giulia è ricoverata in casa di riposo da circa due anni, ma non si rassegna, rifiuta la permanenza in istituto, non riesce ad accettare la fatica e talora la concreta incapacità di badare a se stessa. Si pone in maniera gentile e cordiale, ma appare chiusa e riluttante, restia a lasciarsi andare, diffidente, e a tratti sospettosa, con un’espressione rassegnata sul volto.

    Questo comportamento mi pare ben si adatti all’atteggiamento rispetto alla persona anziana, diffuso nella società odierna: sembra prevalere una concezione della vecchiaia in termini prevalentemente negativi, in quanto è spesso percepita come l’ultima parte della vita, caratterizzata da un graduale e progressivo declino della maggior parte delle abilità. Certamente l’anzianità si accompagna a molteplici cambiamenti, fisici, psicologici, sociali, alcuni dei quali negativi, ma questo non deve impedire di guardare alla vecchiaia come ad un processo altamente variabile ed eterogeneo, dal punto di vista interindividuale e intraindividuale (Bragato, Busato, Bordin, 2009).

    Ciò che non si deve dimenticare è l’importanza di guardare e considerare l’anziano innanzitutto come una persona, un individuo, con limiti e risorse, non necessariamente debole e bisognoso, ma impegnato ad affrontare un ulteriore tappa esistenziale: una persona, prima di tutto, degna, meritevole di ascolto, attenzione e rispetto. Ritengo che ci sia tanto da imparare dagli anziani, a maggior ragione se, istituzionalizzati, soprattutto non per libera scelta, il caso più frequente: quanta forza, coraggio, dignità si riconosce in loro! Quanto hanno da dire, raccontare, condividere ed insegnare! Adottando un atteggiamento rispettoso, partecipe, curioso, si può entrare nel loro mondo, in punta di piedi, chiedendo il permesso e aspettando pazientemente, nel rispetto dei loro tempi e modi, valorizzando parole e silenzi. Ecco allora la possibilità di co-costruire una relazione, ecco allora che si configura un possibile spazio di benessere anche per la persona anziana, un luogo, un tempo, in cui egli può esprimere e condividere liberamente pensieri, ricordi, emozioni: in altre parole, la sua storia.

    Spesso, durante banali conversazioni, accade che l’anziano spontaneamente rievochi i ricordi della sua vita passata, e ciò viene talvolta valutato in maniera negativa, come riflesso del decadimento cognitivo associato all’età. In realtà, il raccontarsi riveste un grande potere terapeutico, poiché consente di rivivere gli eventi con i vissuti emotivi ad essi associati, apre lo spazio ad una nuova riflessione, in cui diventa possibile risignificare le esperienze, dando loro nuovo riconoscimento, nuovo senso e nuova comprensione. Ciò vale per tutte le persone che portano il racconto della propria vita in terapia, ma forse per l’anziano c’è un valore aggiunto, dato dalla presa di coscienza della sopravvivenza della propria capacità e possibilità di dare e ricevere ancora, di regalare e condividere storie, emozioni, esperienze, insegnamenti: risorse che si credevano sopite, e invece richiedono di essere soltanto risvegliate e accolte.

    E’ stata da tempo sottolineata la naturale propensione dell’essere umano a dare un senso alla propria esistenza attraverso il racconto di storie: questo vale anche per la persona anziana, come occasione di riscoprire il proprio valore, di riconoscere e valorizzare le proprie esperienze, trasmettendo a chi ascolta, saggezza, esperienza, speranza “…mostrando così, la capacità di emozionare ed emozionarsi ancora…”(Busato, Bordin, Mantoan, 2011).

    Ho ben chiare nella mente le espressioni del volto di alcuni vecchietti, da cui trasparivano orgoglio e soddisfazione dinnanzi al ricordo di eventi positivi, oppure tristezza e sofferenza in relazione a esperienze passate negative. Ricordo lo stupore e la contentezza nei loro occhi nello scoprire di essere ancora in grado di ricordare e condividere; avverto ancora la gratitudine per l’interlocutore privilegiato in quel momento dedito a loro soltanto, talora espressa verbalmente, talora con un sorriso o una semplice stretta di mano.

    Ho ben in mente i cambiamenti nelle stessa relazione con l’utente anziano, prima caratterizzata da diffidenza, timore, evitamento, sentimenti che poi gradualmente lasciavano spazio ad un più positivo atteggiamento di accoglienza, attesa e soprattutto desiderio: la signora Giulia, durante uno dei nostri incontri, mi guarda, mi sorride in modo complice e mi dice “Forse mi può fare bene…”. Questo contesto diventa il luogo della possibilità, della speranza, della fiducia: spazio in cui ascoltare e raccontare una storia, accogliendola con tutte le sue sfaccettature e peculiarità: un racconto forse impreciso, confuso, da costruire e ricostruire, connotato dalla rievocazione di eventi talora a forte valenza emotiva, in cui la persona si riscopre protagonista della propria esistenza, riappropriandosi “…del significato del proprio vissuto e della propria identità”(Busato, Bordin, Mantoan, 2011). Attraverso la narrazione, diventa possibile mettere ordine negli eventi, ri-connettere esperienze passate e presenti, adottando prospettive altre, riscoprendo a volte, nuovi significati evocati dalla riflessione suscitata dal racconto. Ciò rappresenta per l’interlocutore una grande possibilità per conoscere la persona che si racconta, cogliendone tracce del suo modo di essere, del suo carattere, dei suoi valori, apprezzando la vividezza dei ricordi e la ricchezza dei dettagli. Ricordo il mio stupore dinnanzi alla rievocazione di particolari minuziosamente descritti, quasi fossero davanti ai nostri occhi, come la descrizione della signora Giulia di un mobile appartenuto ad una bisnonna e tramandato attraverso le generazioni, oppure della strada che conduceva alla propria abitazione: parole fortemente evocative, coinvolgenti, dense di significato.

    A volte, quando si è instaurato un buon clima di fiducia e collaborazione, diventa possibile utilizzare strumenti specifici durante i colloqui, ad esempio l’uso delle fotografie: il loro impiego riveste una particolare utilità in questi casi, poiché sollecita ulteriormente i ricordi, e permette elle emozioni di fluire più liberamente. E’ stata proprio la signora Giulia a mostrarmi spontaneamente le fotografie della sua famiglia d’origine, arricchendo così la narrazione, dandomi la possibilità di associare un volto alle persone descritte, e consentendomi l’accesso ad un mondo altro, quello della memoria, ricordo di una vita passata, gelosamente custodito nella sua mente.

    Concludo con le parole di Cesa-Bianchi che cita l’esempio di alcuni grandi artisti che hanno portato a termine importanti opere proprio durante l’anzianità: Donatello, all’età di ottanta anni e sofferente di una forma di parkinsonismo, ha realizzato il Pulpito della Chiesa di S.Lorenzo a Firenze; Michelangelo Buonarroti a ottantanove anni lavorava alla Pietà Rondanini; Tiziano, quasi cieco, completa gli ultimi dipinti a 84 anni.

    In un’intervista pubblicata ne “La professione di Psicologo”, intitolata “L’ultima creatività”, il professore afferma:

    Verso la conclusione della vita possono arricchirsi, mantenersi attive, produttive le capacità immaginative, non nel significato di evasione allegorica da una realtà che talvolta sembra apparire avversa o indecifrabile, ma in quello di ricerca della propria verità narrativa, della sua realizzazione, di chi si è stati, si è e si può diventare, oltre le soglie dell’età, fra le luci del pensiero, del sentimento, della conoscenza. Chiunque da anziano può essere creativo, anche chi è meno fortunato, sul piano della salute, fisica e psichica, delle condizioni familiari e sociali (…) Si può invecchiare creando, completando la propria storia, valorizzando le esperienze positive, afferrando la vita, per strapparne la chiarezza e i suoi riflessi. (Cesa-Bianchi, 2011).

    Dr.ssa Katia Querin

    Bibliografia

    Bragato S., Busato V., Bordin A., Il gruppo di Auto Mutuo Aiuto in anziani istituzionalizzati. Padova: Cleup, 2009.

    Busato V., Bordin A., Mantoan V., Reminiscienza: come ricordare la memoria. Padova: Cleup, 2011.

    Cesa-Bianchi M., Giovani per sempre? L’arte di invecchiare. Editori Laterza, 1998.

    Felaco R., L’ultima creatività. Intervista al Prof. Marcello Cesa-Bianchi. La Professione di Psicologo, n.3 Dicembre 2011.

    SE IL PROBLEMA E’ LA MATEMATICA…

    La Matematica non ha mai fatto male a nessuno, ma gli insegnanti di Matematica sì. Sono tante le persone che ritengono di non essere portate per la Matematica o comunque di non avere attitudini. Così possono giustificare i brutti voti alle superiori e l’eventuale scelta di una facoltà universitaria con zero Matematica.

    In realtà, i problemi con la Matematica possano essere collegati con due differenti fonti. Può trattarsi di una difficoltà sulla materia, che può essere facilmente risolta con il supporto di un buon insegnante che possa facilitare il recupero di tutte le lacune. Tale insegnante sarà estremamente paziente, non darà nulla per scontato e agirà in modo personalizzato e specifico.

    Talvolta però dietro i problemi con la Matematica ci sono delle difficoltà a livello psicologico. E allora ci vuole lo psicoterapeuta. Ma non c’è problema, perché l’Associazione E.C.O. può soddisfare entrambe le esigenze: la prima con il servizio di ripetizioni low-cost e la seconda con il progetto di psicoterapia low-cost.

    Peraltro non esiste un unico metodo per insegnare Matematica. Spesso gli studenti ritengono che si tratti di una disciplina che viene trasmessa sempre nello stesso modo, magari perché i loro insegnanti spiegavano la materia in modo dogmatico, ovvero “è così e basta”, come se fosse una religione. Ma la Matematica è una scienza, e – come tutte le scienze – è in continua evoluzione: anche in matematica vengono via via elaborati nuovi strumenti, migliori o comunque più precisi rispetto ai precedenti. Tuttavia, a differenza di altre discipline – ad es. nessuno oggi vorrebbe un vecchio telescopio, in quanto è decisamente più desiderabile quello di ultima generazione, che è più potente, più automatizzato e regala maggiori soddisfazioni – la matematica è come il maiale, nel senso che non si butta via niente. Mi spiego meglio: tutto ciò che è stato dimostrato vero viene tenuto, fino a quando non viene dimostrato falso. Quindi la matematica si accumula sempre di più e diventa un insieme di cose che comunque – prima o poi – possono servire.

    A maggior ragione serve un metodo che non dia per scontato tutto ciò che c’era prima, magari Euclide o Pitagora o qualcosa che avete studiato alle medie. Inoltre l’atteggiamento corretto non è quello dogmatico, ma quello che porta lo studente a ragionare, a far domande, a capire e ad avere nuove idee. Ad esempio, non partiamo dalle formule. Prima vengono i concetti: intendo dire che tutti sappiamo che il tagliaerba è una macchina per tagliare l’erba, ma quanti sanno a cosa serve un logaritmo? Perché é stato inventato?

    Solo dopo che abbiamo chiarito il concetto possiamo passare ai simboli e infine alla combinazione di simboli che è quella che in generale chiamiamo formula. Poi dobbiamo capire come e quando applicare la formula e da quali pezzi è costituita e se possiamo smontarla per ricavare qualcos’altro.

    Proviamo invece a ricercare insieme quali aspetti psicologici intervengono nello studio. Lo studio prevede un’attività di comprensione, di apprendimento, di memorizzazione e di applicazioni. Tutte queste funzioni richiedono: tra le altre risorse, tempo, concentrazione e motivazione.

    Ma che succede se ci scontriamo con una difficoltà e non capiamo un argomento, non riusciamo più a studiare, o abbiamo preso un brutto voto o una bocciatura? In questi casi, generalmente la nostra attenzione si focalizza proprio sulla difficoltà, con lo scopo di volerla superare. Tuttavia può così succedere di perdere di vista quello che è il nostro obiettivo. Diventa essenziale quindi riuscire a riscoprirlo e non è un compito così difficile, se ci si pone la domanda giusta: “Perché sto studiando?”. Più complesso può essere dare una risposta, ma questo ci permette di capire se le difficoltà di studio e di concentrazione sono situazionali e specifiche, se si può invece ipotizzare un disturbo d’ansia, che rende faticoso stare sui libri o un calo motivazionale che ci porta a vagare con la mente mentre stiamo studiando.

    Non basta il desiderio di superare un esame per avere voglia di studiare, non ci rende efficaci e la nostra performance si abbassa proprio perché le risorse sono indirizzate nella direzione sbagliata, cioè togliere l’ostacolo. La voglia di studiare deve essere ancorata a qualcosa di più profondo e personale, alla nostra curiosità, al desiderio di apprendere e al nostro sogno di sentirci realizzati: in questo modo le nostre risorse non sono più focalizzate sulla difficoltà, ma su noi stessi.

    Il supporto psicologico, sfruttando la relazione psicologo-paziente, rende più veloce il processo che ci permette di capire la causa del blocco, riscoprire, rinnovare o modificare i propri obiettivi e di conseguenza imparare a gestire meglio i propri stati emotivi affinché diventino degli strumenti in più a nostra disposizione.

    Dopo che tutto ciò è chiaro, allora sarà possibile utilizzare tutti quegli accorgimenti che migliorano il nostro rendimento, come pianificare bene un programma di studi bilanciato, strutturato e personalizzato secondo le proprie caratteristiche e necessità, in modo che il nostro stato psico-motivazionale si mantenga al massimo.

    Mi permetto di chiudere ricordando quanto sosteneva Einstein: “L’istruzione è ciò che ci resta dopo che ci siamo dimenticati tutto quello che ci hanno insegnato a scuola”.

     

    Dott Trombotto

    Prof. Caputo

    WORKSHOP sul rilassamento, il litigare e il parlare in pubblico

    Segui il link per guardare il video di presentazione dei workshop

    https://www.youtube.com/watch?v=5GtLbOxj25c

     

    Quest’anno gli psicoterapeuti dell’Associazione Eco hanno partecipato al Festival della psicologia proponendo diversi workshop, che trovate qui di seguito.

     

    Attenzione: anche se il festival è finito i workshop sono sempre attivabili. Contattateci a info@ecoassociazione.it per sapere quando ripartiranno.

    Eccovi sinteticamente esposte le nostre proposte

    Workshop per addetti ai lavori:

    • Strumenti di consapevolezza
    • La raccolta della storia di vita

    Workshop per tutti:

    • Attimi di spensieratezza
    • Impariamo  a litigare
    • Parlare in pubblico
    • Emotion/social skill training
    • Uomini che amano le donne
    • Prima delle parole

     

    ATTIMI DI SPENSIERATEZZA

    Dimenticare lo stress quotidiano e rigenerarsi attraverso un’esperienza diretta di: Training Autogeno, Mindfullness e Ipnosi.

    A chi è rivolto?

    A tutti coloro che hanno bisogno di ritrovarsi.

    Perché farlo?

    Il workshop ha lo scopo di avvicinare le persone a tre percorsi possibili per gestire le emozioni, diminuire lo stress E per sfruttare le potenzialità del proprio inconscio.

    Verranno illustrati brevemente i percorsi e successivamente li si potrà già sperimentare.

    La persona avrà così la possibilità di trovare il percorso che sente a lei più affine ed eventualmente approfondirlo in seguito.

    Al termine dell’attività i partecipanti saranno in grado di utilizzare le tecniche acquisite in autonomia.

    Chi sono i conduttori?

    Dott. Luca Zannino, psichiatra, Training Autogeno

    Dr.ssa Luigina Pugno, psicoterapeuta, Mindfullness

    Dott. Fulvio Trombotto, psicoterapeuta, Ipnosi.

    Come posso iscrivermi?

    Per informazioni contattare Dott. Trombotto 335 1688815 info@ecoassociazione.it

    STRUMENTI DI CONSAPEVOLEZZA

    Acquisire una maggiore consapevolezza di sé attraverso un’esperienza diretta di: Training Autogeno, Mindfullness e Ipnosi.

    A chi è rivolto?

    A psicologi, psicoterapeuti, medici, studenti di psicologia e medicina.

    Perché farlo?

    Il workshop ha lo scopo di far conoscere tre percorsi utilizzabili dal professionista per:

    • acquisire alcune modalità efficaci in primis per sé al fine di conoscersi, calmarsi, ricaricarsi e assumere una corretta posizione di distanza/vicinanza col paziente;
    • insegnare ai pazienti ad essere più consapevoli di sé per gestire le emozioni, diminuire lo stress e sfruttare le potenzialità del proprio inconscio.

    Verranno illustrati brevemente i percorsi e successivamente li si potrà già sperimentare.

    Il professionista avrà così la possibilità di trovare il percorso che sente più affine ed eventualmente approfondirlo in seguito.

    Al termine dell’attività i partecipanti saranno in grado di utilizzare le tecniche acquisite in autonomia.

    Chi sono i conduttori?

    Dott. Luca Zannino, psichiatra, Training Autogeno

    Dr.ssa Luigina Pugno, psicoterapeuta, Mindfullness

    Dott. Fulvio Trombotto, psicoterapeuta, Ipnosi.

    Come posso iscrivermi?

    Per informazioni contattare Dr.ssa Pugno 328 8260495 info@ecoassociazione.it

    LA RACCOLTA DELLA STORIA DI VITA

    Come gli orientamenti psicodinamico, cognitivista, comportamentista e sistemico si approcciano alla raccolta della storia di vita del paziente.

    A chi è rivolto?

    A psicologi, psicoterapeuti, studenti di psicologia.

    Perché farlo?

    Il workshop ha lo scopo di far conoscere tre modalità utilizzabili dal professionista per fare la raccolta della storia di vita del paziente adulto, una per ogni orientamento.

    Il professionista avrà la possibilità di vedere come i diversi approcci indagano la vita del paziente, notarne sovrapposizioni e differenze alla luce della propria teoria di riferimento.

    Verranno illustrati brevemente gli approcci e successivamente li si potrà già sperimentare durante il workshop attraverso simulate.

    Chi sono i conduttori?

    Dr.ssa Valentina Congedo, psicoterapeuta, orientamento psicodinamico

    Dr.ssa Luigina Pugno, psicoterapeuta, orientamento cognitivista

    Dr.ssa Eleonora Materazzini, psicoterapeuta, orientamento sistemico

    Come posso iscrivermi?

    Per informazioni contattare Dr.ssa Congedo 338 5680428 info@ecoassociazione.it

    IMPARIAMO A LITIGARE

    Rabbia, vergogna, delusione, impotenza ecco alcuni emozioni e vissuti che possiamo vivere durante un litigio e che possono non rendere l’incontro/scontro con l’altro un’opportunità di crescita, ma diventare distruttivo.

    A chi è rivolto?

    Il workshop è dedicato a:

    • chi sente di non riuscire ad usare la propria rabbia in modo costruttivo
    • chi preferisce evitare i conflitti
    • chi non sa dire di no
    • chi al termine di un litigio si sente perdente

    Perché farlo?

    Il workshop ha lo scopo di condurre le persone a conoscere meglio il proprio stile comunicativo, presentare tecniche di gestione del conflitto ed esercitarsi in una modalità comunicativa assertiva.

    Verranno illustrati brevemente differenti approcci e successivamente li si potrà già sperimentare durante il workshop attraverso simulate.

    Chi sono i conduttori?

    Dr.ssa Lorena Ferrero, psicoterapeuta.

    Dr.ssa Eleonora Materazzini, psicoterapeuta e coach.

    Come posso iscrivermi?

    Per informazioni contattare Dr.ssa Ferrero 3397787162 info@ecoassociazione.it

    PARLARE IN PUBBLICO

    “Puoi presentare tu alla riunione di domani?” Se temete queste parole, se la sola idea di parlare in pubblico vi agita, allora questo workshop fa al caso vostro.

    A chi è rivolto?

    A quanti necessitano nel loro lavoro e/o nel quotidiano di comunicare efficacemente e senza timore, o sentono in generale l’esigenza di migliorare la propria capacità di comunicazione:

    Perché farlo?

    Verranno esposte le tecniche e le strategie più all’avanguardia per gestire al meglio la propria emotività, vincere la paura di parlare davanti ad un pubblico, e migliorare la forza persuasiva del discorso, che si potranno già sperimentare durante il workshop attraverso simulate.

    Chi sono i conduttori?

    Dr.ssa Lorena Ferrero, psicoterapeuta.

    Dr.ssa Barbara De Tommaso, logopedista.

    Come posso iscrivermi?

    Per informazioni contattare Dr.ssa Ferrero 3397787162 info@ecoassociazione.it

    EMOTION/SOCIAL SKILL TRAINING

    Le emozioni sono il sale e pepe della vita. A volte la comprensione di quelle proprie o altrui non è cosa semplice e tantomeno la gestione della propria emotività.

    A chi è rivolto?

    A coloro che vogliono migliorare il riconoscimento e la gestione delle risposte emotive, accrescere l’empatia.

    Perché farlo?

    Il workshop ha lo scopo di condurre le persone a comprendere meglio il proprio mondo emotivo e a riconoscere quelle altrui, presentare modalità di gestione delle stesse ed esercitarsi attraverso simulate.

    Chi sono i conduttori?

    Dr.ssa Lorena Ferrero, psicoterapeuta.

    Dr.ssa Luigina Pugno, psicoterapeuta.

    Come posso iscrivermi?

    Per informazioni contattare Dr.ssa Pugno 328 8260495 info@ecoassociazione.it

    UOMINI CHE AMANO LE DONNE. GRUPPO DI RIFLESSIONE.

    “Perché lei mi ha lasciato? Dove ho sbagliato? Perché non è più come all’inizio? Cosa vogliono le donne da noi uomini?”

    Nella nostra attività di Psicoterapeuti spesso ci capita di imbatterci in uomini che esprimono la loro difficoltà nell’incontro con il genere femminile. Anche quando sono desiderosi e propensi ad innamorarsi, ad iniziare una relazione, a conservarne una in corso, molti si scontrano con la fatica di incontrarsi con l’altro sesso in maniera serena, costruttiva ed egualitaria.

    A chi è rivolto?

    Agli uomini che amano le donne.

    Perché farlo?

    Per condividere le proprie difficoltà.

    Chi sono i conduttori?

    Dott. Alessandro Siciliano – Psicologo, Psicoterapeuta.

    Dr.ssa Chiara Delia – Psicologa, Psicoterapeuta.

    Come posso iscrivermi?

    Per informazioni contattare il Dott. Siciliano 3391255583 info@ecoassociazione.it

    PRIMA DELLE PAROLE

    La nascita di un bambino porta con sé cambiamenti e scoperte reciproche, gli occhi ed i gesti di genitori e figli si intrecciano in uno scambio comunicativo prezioso ed entrambi imparano ad osservarsi e a capirsi.

    Le parole, però, arrivano in un secondo tempo, cosa avviene prima?

    A chi è rivolto?

    Genitori con figli nella fascia 0-2

    Perché farlo?

    Il workshop ha lo scopo di avvicinare i genitori all’osservazione e alla migliore comprensione del proprio bambino. Verranno illustrati brevemente i fattori psicobiologici e l’importanza delle relazioni primarie, poi le triadi saranno guidate attraverso griglie strutturate all’osservazione delle prime fasi di sviluppo della comunicazione dei loro bambini: gli sguardi, le azioni, i gesti, i vocalizzi fino alle prime parole.

    Al termine dell’attività i partecipanti saranno in grado di utilizzare le tecniche acquisite in autonomia e avranno a disposizione uno strumento efficace per una maggior consapevolezza delle dinamiche di comunicazione e relazione del loro bambino.

    Chi sono i conduttori?

    Dr.ssa Debora Tonello, psicoterapeuta età evolutiva

    Dott.ssa Barbara De Tommaso, logopedista

    Come posso iscrivermi?

    Per informazioni contattare Dr.ssa Debora Tonello 3397978793 info@ecoassociazione.it