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LA DIFFICOLTA’ DI PERDONARE I NOSTRI GENITORI

Il vocabolario della lingua italiana suggerisce che perdonare è non tenere in considerazione il male ricevuto da altri, rinunciando  a propositi di vendetta, alla punizione, a qualsiasi rivalsa, e annullando con sé ogni risentimento verso l’autore dell’offesa o del danno.

A tutti può capitare di subire un danno e faticare a perdonare qualcuno, anche se il perdono è molto importante per superare una situazione dolorosa, rendendoci liberi di vivere al meglio la nostra vita. Altrimenti si rimane nel rancore e legati ad una situazione che fa soffrire. Bisogna sottolineare che più grande è l’affronto, più grande è il dolore, più vicina è la persona, più difficile diventa perdonare. Farlo con un padre o una madre che ci hanno fatto del male può essere un compito arduo, che costringe ad affrontare le nostre ombre.                                                                                                                                      

Il rapporto con i genitori, l’educazione da essi ricevuta, segna per sempre la vita dei figli,  il modo in cui i bambini sono trattati da piccoli influenza le loro personalità, plasmando i sogni e le paure. Nella memoria di molti è impressa la serenità e il benessere dell’essere accompagnati per tutta la vita dai genitori. Da loro si è ricevuto amore, sostegno, sono stati vicini nei momenti significativi della vita. Questo però è solo un lato della medaglia, perché anche i genitori che sono stati buoni in generale, si sono trasformati a volte in una fonte di dolore, magari a causa della loro poca disponibilità, della loro distanza fisica ed emotiva. Molte persone, pur avendo vissuto esperienze molto dolorose con il padre e con la madre, faticano a riconoscerlo e alcuni fanno addirittura di tutto per nascondere i sentimenti ambivalenti.

Anche se di solito i ricordi di infanzia assumono colorazioni cariche di calore e affetto,  non è sempre un periodo cosi roseo. Alcune modalità di rapporto famigliare possono influire decisamente nel corso della vita:                                    

L’iperprotezione genitoriale, può impedire ai figli di fare esperienze, di prendere decisioni, li spinge verso un percorso che non avrebbero scelto liberamente, influenzandoli nelle insicurezze, nelle paure e forse facendoli diventare adulti fragili.                                                                              

Alcuni genitori possono essere emotivamente instabili e possono trattare i figli in modo ingiusto, riversando su loro insoddisfazione, frustrazione e rabbia, umiliandoli o maltrattandoli fisicamente e psicologicamente.          

Molte famiglie vivono situazioni dolorose che generano grande sofferenza, soprattutto nei bambini, che sono i più vulnerabili.                                                    

Perché perdonare un padre o una madre è così difficile?

La forte impronta emotiva che generano le tematiche famigliari.                                Può essere difficile elaborare tutte esperienze dolorose di anni, per questo motivo il ricordo genera frustrazione, rabbia, risentimento e in alcuni casi odio.
Le aspettative ed illusioni.                                                                                                      
A volte, ci si aspetta ancora che quel padre o quella madre cambino e  diano l’amore, il sostegno e la comprensione che ci sono mancati così tanto. Perdonarlisignificherebbe praticamente rinunciare a quell’illusione.
Il senso di giustizia.                                                                                                          
Alcune persone pensano che perdonando i loro genitori, permettono loro di farla franca senza comprendere gli errori e senza dover rimediare ad essi.

Per maturare ed evolvere bisogna potersi allontanare dall’offesa. Non si può essere in pace con sé stessi mentre si è in guerra con il padre o con la madre. Questa consapevolezza è il primo passo per avere delle buone ragioni per iniziare un processo di perdono, che è innanzitutto unelaborazione psicologica, che presuppone anche il cambiamento di meccanismi di difesa profondi.

Imparare a tollerare l’ambivalenza nei confronti dei genitori

E’ molto difficile tollerare in noi, insieme all’amore e alla gratitudine, il risentimento e la delusione che si può provare per loro. Per amarli e perdonarli davvero ci si deve confrontare con loro per quello che sono veramente stati, con i loro meriti e le loro mancanze, facendo affiorare la varietà dei sentimenti, positivi e negativi, che si provano. Quando non si riesce a riconoscere questa complessità si rischia di non riuscire ad avere un rapporto autentico con loro, e inoltre dinamica si può rivolgere anche alle altre persone, instaurando dei meccanismi di diniego e scissione con chiunque.                                                                        

Nel diniego vi è un’esclusione involontaria ed automatica dalla propria consapevolezza rispetto ad un certo aspetto disturbante della realtà. La scissione, invece, è un meccanismo di difesa che consiste nello “scindere”, separare gli aspetti contraddittori, ma conviventi, dell’oggetto o dell’Io.                                                                                                         Amare qualcuno non significa idealizzarlo ma saper mettere insieme i suoi vari aspetti buoni e cattivi. In alcuni casi fare questo passo può essere particolarmente complicato. Immaginiamo ad esempio la difficoltà di mettere insieme nella mente  un genitore che diventa violento quando è ubriaco, ma potrebbe essere adeguato quando è sobrio.

Dopo che si sono riconosciute le parti brutte dei nostri genitori (se prima si negavano alla consapevolezza) come si può proseguire nel perdonare? Dopo che si è imparato a tollerare l’ambivalenza nella nostra immagine interiore di loro? Quando si sono abbandonati i meccanismi della scissione e il diniego, questa realtà tragica, come si può utilizzare?          

Fermarsi a comprendere la storia dei genitori, la motivazione dei loro sbagli e delle loro difficoltà, vedendosi inseriti in un quadro di trasmissione famigliare complesso, che comprende nostro padre, nostra madre e le generazioni precedenti.

Il cammino faticoso della consapevolezza passa attraverso tutti gli elementi positivi e negativi che vengono trasmessi in famiglia. Da una generazione all’altra possono passare traumi, conflitti, gravi vissuti famigliari.                                                                                  Ragionare in questo modo non annulla la responsabilità dei singoli (ad esempio non vuol dire giustificare un genitore maltrattante) ma permette di comprendere meglio il contesto in cui una persona nasce e cresce. Pensare che le sofferenze che ci hanno inferto i nostri genitori forse derivano da qualcuno che sta più a monte di loro, in una storia in cui noi e la nostra famiglia siamo immersi e partecipi.  Questa visione non annulla la rabbia, ma aiuta a guardare in modo più lucido alla situazione e a ridimensionare.

Quali sono i vantaggi del perdonare?

Non vuol dire dimenticare ma imparare a pensare meglio, nell’ottica della libertà anche di non riconciliarsi con chi ha offeso, ma bensì accettare ciò che è stato, senza che questo rappresenti una debolezza.
Perdonare è liberarsi di pesi che potrebbero gravare sulla qualità della vita
Il rancore ci sottrae l’entusiasmo, l’energia e la positività.                                                      
Il perdono è un processo, e anche se in alcuni casi può essere troppo difficoltoso perdonare del tutto l’altra persona, si può scaricare buona parte del risentimento per essere più leggeri e liberi.

Concludiamo l’articolo con le parole evocative di questa canzone, che con un’immagine forte fa riflettere sul tema del perdono e della complessità dei rapporti umani:

“Onora il padre, onora la madre e onora anche il loro bastone,                                                                       bacia la mano che ruppe il tuo naso perché le chiedevi un boccone:                                                                 quando a mio padre gli si fermò il cuore non ho provato dolore….                                                              Ma adesso che viene la sera e il buio mi toglie il dolore dagli occhi e scivola il sole al di là delle dune a violentare altre notti: io nel vedere quest’uomo che muore, madre, io provo dolore. Nella pietà che non cede al rancore, madre, ho imparato l’amore”

(De Andrè, Il Testamento di Tito, 1970)

 

Dott.ssa Laura Rivoiro

Psicologa – Psicoterapeuta

 

Bibliografia

BORGOGNO, F. (2007), The Vancouver Interview, Borla, Roma

CERATO, M. (2003), Emozioni e Sentimenti. Curare il cuore e la mente, Effatà Editrice, Cantalupa (TO)

CERATO, M. (2019), Ti perdono (Forse!), Effatà Editrice, Cantalupa (TO)

FERRO, A. (2007), Evitare le emozioni, vivere le emozioni, Raffaello Cortina, Milano

TUTU, D. (1999), Non c’è futuro senza perdono, trad.it. Feltrinelli, Milano 2001

Psicologia positiva e comunicazione non violenta (CNV)

 

Ciao Io sono il lupo e sono il simbolo della comunicazione violenta, quella comunicazione che giudica, paragona, valuta, e usa tutto ciò che rende la comunicazione pesante, difficile. Quando ho le orecchie rivolte verso l’altro lo sto giudicando, svalutando ecc. Quando ho le orecchie rivolte indietro lo sto facendo con me stesso.

 

 

Ciao io sono la giraffa e sono il simbolo della comunicazione non violenta, perché sono Il mammifero terrestre con il cuore più grande e con il mio lungo collo posso avere una visuale più ampia. Con la comunicazione non violenta si è più capaci di comunicare, di gestire i conflitti e di empatizzare con sé e gli altri. L’empatia è la base della comunicazione non violenta. Quando ho le orecchie rivolte verso l’altro sto cercando di capire i suoi bisogni e motivazioni ecc. Quando ho le orecchie rivolte indietro lo sto facendo con me stessa.

 

Questi due simboli sono stati scelti fin dal 1960 da Rosenberg per insegnare alle persone, ai gruppi di lavoro, scolastici e alle famiglie come comunicare senza giudizi e in modo efficace. Senza giudizi la comunicazione non si chiude, ma si apre, perché si impara a comunicare i bisogni in maniera non violenta.
Durante la comunicazione violenta si entra in un sistema comportamentale agonistico in cui c’è un aggressore e una persona che viene aggredita. Di fronte ad un’aggressione la mente può scegliere tra tre comportamenti: aggredire a sua volta, difendersi anche attraverso la fuga, oppure bloccarsi, non riuscire né a contrattaccare, né a sottrarsi.
Il nostro cervello funziona in modo per cui più intensa è l’emozione più le capacità di pensiero e associative vengono bloccate. Questo comportamento è importante perché l’obiettivo è quello di far sopravvivere la persona.

Facciamo un esempio: se io mi trovo nella giungla e compare una tigre non devo trovarmi a pensare quanto è bella la tigre, che belli che sono i colori del suo mantello e altre cose su di lei, questa capacità di pensiero si deve spegnere in favore della mia capacità di sopravvivere e quindi devo provare intensa paura e di conseguenza scappare.
Tutte le volte in cui durante una comunicazione le emozioni che passano sono intense la capacità della neocorteccia di far funzionare le aree riflessive e associative viene compromessa, di conseguenza la persona non pone più la sua attenzione sul contenuto della comunicazione ma sulla modalità con cui la cosa viene comunicata e se questa modalità viene percepita come un’aggressione non penserà al contenuto che le viene comunicato ma ad un modo per potersi sottrarre all’aggressione.
Se invece utilizzo la comunicazione non violenta posso far sapere al mio interlocutore che sono arrabbiato, i motivi per cui lo sono e che cosa vorrei invece che accadesse di diverso. In questo modo l’emozione non sarà intensa e non comprometterà il funzionamento delle aree associative del cervello, diventerà quindi possibile confrontarsi su quello che sta accadendo e sul contenuto della comunicazione.
La CNV oltre a favorire una comunicazione interpersonale efficace permette di sviluppare empatia.
Nel momento in cui si comincia ad utilizzare la CNV si abbassano i livelli di aggressività, la comunicazione diventa più rilassata e c’è un maggior benessere percepito.
Rosenberg, dopo aver studiato con Carl Rogers il creatore della psicologia umanistica, ha creato un protocollo semplice composto da 4 fasi per poter parlare in modo non violento.
Le fasi sono: osservazione, sentimento, bisogno e richiesta.
Spesso le comunicazioni interpersonali non funzionano, diceva Rosenberg, perché cerchiamo soluzioni e facciamo richieste saltando la connessione con l’emozionante e i bisogni.
Questo fa sì che le persone non si sentano viste e riconosciute nel loro sentire e nei loro bisogni.
Con la CNV si impara prima di tutto a osservare, descrivere e riportare cosa è successo, successivamente a riconoscere le proprie emozioni e i propri bisogni, ed infine a fare richieste e trovare soluzioni congrue ad essi.

La CNV si inserisce all’interno della psicologia positiva che ha come suo obiettivo principale la promozione della salute attraverso due percorsi. Il primo lo fa a livello individuale promuovendo lo sviluppo e il rafforzamento dei punti di forza individuali come: l’ottimismo, la speranza, la resilienza, il coraggio, il senso di autoefficacia, la perseveranza, la competenza, l’empatia, il perdono e la saggezza, che costituiscono un “capitale psicologico”, che aiuta ad accrescere il proprio benessere. Il secondo a livello sociale promuovendo relazioni interpersonali caratterizzate da cooperazione, partecipazione attiva, senso di appartenenza.

Partendo dal presupposto che il potenziamento del benessere e il suo mantenimento nella varie fasi della vita, possa rivelarsi più efficace se è oggetto di interventi mirati partendo dall’infanzia, abbiamo ideato creato un libro, che stimolerà lavoro individuale e di gruppo su due abilità molto importanti nelle relazioni interpersonali: litigare in modo costruttivo e saper perdonare.

Per fare questo useremo una semplice storia che vede come protagonisti Volpino Martino, i suoi amici e due litiganti.

Applicando le fasi della comunicazione non violenta (CNV) e del perdono Martino e i suoi amici creeranno il circolo del pensiero in grado di favorire la comunicazione e la condivisione delle emozioni, delle difficoltà e delle soluzioni, fino ad utilizzare lo strumento del perdono per riparare le ferite emotive e lasciarle nel passato.

Qualunque sia la tua età: bambino o adulto, qualunque sia il tuo ruolo: genitore, educatore, insegnante, o lettore, questo libro ti prenderà per mano per aiutarti, divertendoti, ad acquisire gli strumenti necessari a comunicare in modo efficace e a perdonare.

Scopri di più su Le avventure di Volpino Martino e dei suoi amici nel bosco Fan Fan. Strumenti per imparare a litigare e perdonare.

 

Dr..sa Luigina Pugno