Mese: <span>Marzo 2021</span>

Circolo della Sicurezza – Parenting (COS-P® ): programma online di sostegno alla genitorialità

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Il Circolo della Sicurezza – Parenting (COS-P®) è un programma esperienziale di sostegno alla genitorialità che ha come obiettivo quello di aiutare e sostenere i genitori nella relazione con i propri figli.

Vivere comporta affrontare sfide e rispondere a richieste: fisiche, emotive e di performance proprie e altrui. Diventare genitori comporta una sfide non indifferente in una società dove la coppia genitoriale tende ad essere l’unica a rispondere alle esigenze del proprio figlio. Talvolta i nonni e gli zii sono lontani, o non disponibili perché occupati lavorativamente o nelle loro famiglie. Le recenti ricerche rilevano come le famiglie abbiano sperimentato e continuino a sperimentare fatica e difficoltà nella gestione dei propri figli, non solo da un punto di vista comportamentale ma anche emotivo. La sensazione di sentirsi persi, di fronte a comportamenti sentiti come problematici, è sempre più frequente.

Il Circolo della Sicurezza – Parenting si basa su oltre cinquant’anni di ricerche volte a sostenere e rafforzare le relazioni sicure fra genitori e figli, promuovendo una lettura che vada al di là dei soli comportamenti manifesti. Si tratta della possibilità di leggere con nuove lenti, quei bisogni e quelle emozioni che a volte, bambini e/o adolescenti “urlano” nei modi più impensabili.

 

A chi è rivolto?

Il programma COS-P® è indicato per tutti coloro che vogliono capire meglio i bisogni dei propri figli per rispondervi in modo adeguato. È pensato per genitori in coppia, single, adottivi e affidatari.

 

Cosa aspettarsi?

Il COS-P®  è  un programma di psicoeducazione di tipo esperienziale, condotto da un terapeuta appositamente formato nel modello del Circolo della Sicurezza – Parenting e da un facilitatore.

Grazie all’utilizzo di video e schede di osservazione, i partecipanti verranno aiutati a identificare le emozioni più critiche che i propri figli possono provare in alcuni momenti e come queste, se non adeguatamente riconosciute, possono interferire nel rapporto con loro. L’obiettivo è quello di promuovere e sostenere una buona capacità di osservazione che li aiuti a comprendere, con nuove lenti,  tutti quei comportamenti che, il più delle volte, possono apparire tanto incomprensibili quanto “strani” o “problematici”, ma che in realtà nascondono un bisogno specifico più profondo.

I partecipanti avranno inoltre, l’occasione di riflettere su se stessi, per diventare maggiormente consapevoli delle proprie modalità di essere genitore e di come queste possono influire nel modo di essere in relazione con i propri figli. Avranno anche la possibilità di riflettere su quello che per loro risulta essere più critico e di come riconoscere le “rotture” all’interno del rapporto, per poterle “riparare”.

L’obiettivo finale è quindi, quello di valorizzare e rafforzare le competenze genitoriali di accudimento in modo da  promuovere una relazione genitore-figlio il più possibile sicura e armoniosa.

Quando si svolgerà il corso?

Il programma COS-P® prevede 8 incontri di gruppo della durata ciascuno di 90 minuti che si terranno in modalità telematica e a cadenza settimanale. Gli incontri saranno il giovedì dalle 18-30 alle 20 a partire dal 22 aprile fino al 17 giugno.

Gli incontri saranno online su piattaforma Zoom

È previsto un incontro gratuito di presentazione il 15 aprile alle 18.30 . Per partecipare bisogna prenotarsi inviando una mail a ecoassociazione@gmail.com

Partecipanti:

Massimo 4 coppie per un totale di 8 partecipanti.

A seguito dell’incontro di presentazione e delle adesioni pervenute, si cercherà di creare un gruppo che tenga conto dell’età dei propri figli, in modo da renderlo il più omogeneo possibile.

 Costo

Il costo per l’intero corso (12 ore) è di 150 euro per un genitore, 250 euro per la coppia genitoriale, a cui vanno aggiunti 10 euro a testa per le spese di segreteria

 

Per informazioni e iscrizioni:

Dott.ssa Antonia Di Pierro cell. 3665069361

ecoassociazione@gmail.com

LA DIPENDENZA AFFETTIVA Caratteristiche e una possibile distinzione tra legami sani e disfunzionali

Nella vita c’è molta sofferenza,

e forse l’unica sofferenza che si può evitare è

la sofferenza di cercare di evitare la sofferenza

(Ronald David Laing)

 

Ai giorni d’oggi, si sente spesso parlare di “Dipendenza Affettiva” ma sappiamo bene cosa indica questo termine? È l’amore irrefrenabile e romantico “con qualche spiacevole imprevisto”? Quali esperienze di una persona provocano maggiormente il rischio di sviluppare una dipendenza affettiva?

La Dipendenza Affettiva viene classificata tra le “New Addiction” ovvero tra le nuove dipendenze comportamentali che non hanno come destinatario una sostanza chimica esterna al soggetto ma hanno un oggetto o persona con cui viene stabilita una dinamica psicopatologica di esclusività di legame come ad esempio la dipendenza da internet, la dipendenza sessuale, il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza dallo sport, shopping compulsivo e la dipendenza dal lavoro.

La Dipendenza affettiva sembra essere il risultato di un irrigidimento pervasivo e disfunzionale delle caratteristiche naturali di una relazione amorosa, caratterizzato da: desiderio compulsivo, impegno ossessivo e una certa perseveranza di comportamenti problematici, caratteristiche generalmente presenti nelle dipendenze comportamentali.

Essa è definibile quindi come uno stato patologico in cui la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza nonostante causi del malessere psicologico e/o fisico.

Esaminando il concetto di dipendenza, è importante dire che una certa quota di dipendenza è inevitabile in ogni singolo essere umano, sarebbe impossibile il contrario poiché siamo inevitabilmente dipendenti dai nostri familiari, da eventi esterni e da tutto ciò che non possiamo controllare e che in vario modo influenza la conduzione della nostra esistenza.

Ancor più in una relazione sentimentale ovvero in una storia d’amore, un certo grado di dipendenza sana dal partner diviene parte integrante della relazione stessa, specie nelle prime fasi dell’innamoramento caratterizzate non solo da intensi sentimenti di simbiosi, euforia, condivisione intima, intensa affiliazione verso il partner ma anche da un certo grado di idealizzazione (il partner è visto come “perfetto e infallibile”). Il desiderio di dipendenza, nelle relazioni ideali, viene meno con lo stabilizzarsi del rapporto e viene in gran parte sostituito nei partner da una piacevole percezione di autonomia.

Ci si potrebbe chiedere allora qual è lo spartiacque tra una relazione affettiva-sentimentale sana e una rigida-disfunzionale? Come poter capire se la quota di dipendenza presente nella coppia risponde ad un bisogno sano e psicofisiologico della stessa oppure ad un bisogno autoreferenziale e malsano da eccessivo potere e controllo sull’altro?

Un possibile e generico criterio per individuare un legame patologico, qual è la dipendenza affettiva, potrebbe essere rappresentato proprio dall’eccessiva rigidità e pervasività degli aspetti di dipendenza spesso presenti assieme alla connotazione di assoluta necessità e impellenza degli stessi, per i quali non sembra poter esserci nessun tipo di compromesso o via di mezzo.

In una relazione disfunzionale l’individualità di ogni partner viene annullata dai bisogni e desideri dell’altro facendo venir meno la capacità di percepirsi e di conseguenza rispettarsi come individui separati e autonomi ovvero di conservare la propria individualità riconoscendo l’altro nella sua diversità, configurando quella che definiamo appunto una Dipendenza affettiva o Love Addiction.

Essa ha origini nell’infanzia poiché le persone dipendenti spesso compensano un senso di vuoto esistenziale che deriva dall’aver esperito spiacevolmente la separazione nell’infanzia seguita da un pervasivo senso di impotenza non elaborato nelle fasi di sviluppo successive (Caretti, La Barbera, 2009).

Il passaggio da una relazione sana ad una relazione disfunzionale (premesso che ci sia e che la relazione patologica non nasca a volte come tale in origine) ha in realtà una genesi multifattoriale poiché sono innumerevoli le variabili che ritroviamo come un legame di attaccamento nell’infanzia con il caregiver di tipo insicuro-ambivalente ovvero figure di riferimento presenti ma in modo intermittente e scostante con, a volte, un’inversione dei ruoli tra bambino adultizzato e un genitore-bambino (Borgioni, 2015).

Di conseguenza, da adulti imparano che per poter ricevere l’amore dell’altro (idealizzato), è necessario controllarlo in modo ossessivo e instaurare con lui una simbiosi emotiva che permetta di sopravvivere psichicamente, simbiosi nella quale l’idea dell’abbandono è terrorizzante.

Proprio la paura dell’abbandono di conseguenza starebbe alla base delle azioni di controllo del partner attraverso la richiesta di comportamenti di sacrificalità, eccessivo accudimento e nel pensiero (a volte quasi ossessivo) che la relazione rimanga stabile e duratura.

Robin Norwood in “Donne che amano troppo” (1985), sottolinea i fattori emotivi e le modalità tipiche di pensiero in comune delle donne dipendenti: la trascuratezza emotiva durante l’infanzia, la mancanza di un affetto stabile e sicuro a cui fare riferimento nei momenti di difficoltà e soprattutto la tendenza a ri-attribuirsi nella propria vita di coppia un ruolo simile a quello vissuto con i genitori in passato.

Spesso si ritrovano sensazioni di inadeguatezza, di non amabilità ovvero la mancanza di dignità nel ricevere amore, la tendenza a colpevolizzarsi e a leggere il comportamento del partner come informazioni su se stessi (<<Mi tratta così perché ho sbagliato>>) e non sull’altro (<<Mi tratta così perché lui è sgarbato/aggressivo…>>) nonché una certa consapevolezza cognitiva (ma non emotiva) delle conseguenze negative.

Questa relazione è priva di mutualità dal punto di vista affettivo (poiché sono i bisogni dell’altro ad essere centrali) e vedono spesso come partner del “dipendente affettivo” personalità egocentriche e anaffettive (spesso narcisisti) che pongono richieste affettive esagerate e tendono poi a confermare, nell’altro partner, la credenza di non essere degni d’amore.

Ricordiamo che la Dipendenza Affettiva riguarda appunto una dinamica duale e non di un singolo individuo, benché possa partire ed essere maggiormente alimentata da un solo partner.

Se hai riscontrato in te e/o nella tua situazione passata o attuale qualche aspetto descritto nell’articolo, non esitare a contattare l’Associazione Eco per poter intraprendere un percorso psicoterapeutico nel quale fare maggior chiarezza sulla propria relazione sentimentale e sul grado di soddisfazione della stessa.

Il trattamento psicoterapeutico in questi casi può incrementare:

  • Un processo di comprensione delle motivazioni sottostanti la dipendenza;
  • La rielaborazione delle esperienze negative permettendo la creazione di nuovi legami affettivi più costruttivi;
  • Migliorare la propria competenza assertiva e di autodeterminazione per apprendere come esprimere i propri bisogni senza timore e di conseguenza avere una maggiore consapevolezza, autostima e auto-efficacia.

Dr. ssa Maria Grazia Esposito Psicologa Psicoterapeuta

 

BIBLIOGRAFIA:

– Borgioni, M. (2015). Dipendenza e contro-dipendenza affettiva. Roma Alpes Italia.
– Caretti, La Barbera (2009), Le nuove dipendenze. Diagnosi e clinica. Carocci editore.

– Robin Norwood (1985), Donne che amano troppo. Feltrinelli.

 

TRADIMENTO: UNA FERITA CHE PUO’ GUARIRE

“Un tradimento uccide soltanto gli amori già morti.

Quelli che non uccide a volte diventano immortali.”

MASSIMO GRAMELLINI

 

 

 

 

Il concetto di “tradimento” era già presente nella lingua latina del XII secolo e con tale termine s’intende l’atto e il fatto di venir meno a un dovere o un impegno morale o giuridico di fedeltà e di lealtà.

Da sempre il mondo ha visto alternarsi traditori e traditi, e di questo la storia insegna, ma quando si parla di tradimento all’interno di relazioni affettive ci si sente sempre disarmati e vulnerabili.

Per quanto si tratti di un’esperienza molto comune è altrettanto temuta e mette a dura prova relazioni e matrimoni, determinando spesso conseguenze devastanti.

Quando diventiamo uditori di storie di tradimenti, inevitabilmente attiviamo una comprensione, una vicinanza emotiva verso la “vittima”, e il traditore diventa bersaglio di sguardi (e spesso anche di critiche) di disapprovazione, di disgusto e di disprezzo.

È facile “sintonizzarsi” con chi ha subito un atto di questo tipo e lasciamo in ombra l’altro partner, ignorando  la sua sofferenza.

Proviamo ad addentrarci meglio in queste delicate dinamiche, ma per farlo proviamo a sospendere il giudizio. Teniamo ben presente che il tradimento non avviene mai per caso, non compare dal nulla. Sebbene  da molti viene definito come “un fulmine a ciel sereno” o una “doccia fredda”, portando uno sguardo analitico alle relazioni è possibile cogliere segnali che lo anticipano.

Tra questi sicuramente si delinea la scarsa capacità dei coniugi di gestire i conflitti generando liti sempre più furiose o silenzi sempre più strazianti. Entrambe le modalità contribuiscono ad aumentare la distanza tra i partner e, confrontandosi sempre meno su ciò che pensano, si trovano negli anni ad essere estranei, a non sapere più cosa l’altro pensi.

Oltre la distanza emotiva si verifica una perdita di quegli apprezzamenti che tengono viva la relazione, per lasciare spazio, invece, alle critiche che nel tempo diventano sempre più pungenti: il partner viene messo sempre più nell’ombra, aumentano i confronti con gli altri e, come un cancro, l’intimità ne viene colpita fino a venirne distrutta completamente.

Chi viene tradito porta su di sé una profonda ferita e il tipo di sofferenza può venir paragonato, a tutti gli effetti, a quella di chi soffre di un disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Chi viene tradito risulta essere iper vigilante, sospettoso e controllante. La loro mente viene invasa da pensieri e immagini del partner con l’amante (flashback) e appaiono emotivamente instabili, alternando rabbia, dolore e panico che aprono le porte a momenti depressivi.

E quando il partner tradito decide di voler andare oltre al tradimento e rimettere in piedi la relazione, ecco che si innesca un percorso ancora più faticoso: la fase dell’espiazione.

Le scuse che il traditore può rivolgere al partner spesso non bastano, c’è bisogno che vengano ripetute più e più volte, richiedendo anche settimane o mesi. É necessario ricostruire la fiducia che è venuta a mancare e per poterlo fare occorre trasparenza: il partner tradito ha l’esigenza di ricevere risposte alle innumerevoli domande che si hanno sulla relazione extraconiugale e il traditore deve garantire sincerità.

In questa fase è necessario però evitare qualsiasi dettaglio sui rapporti sessuali avvenuti tra il partner e l’amante per non alimentare nel partner tradito l’immaginazione visiva che lo bloccherebbe nel suo PTSD. D’altro canto il partner tradito dovrebbe evitare critiche e disprezzo verso il coniuge poiché andrebbe a minacciare la possibilità di venire ascoltato.

La rabbia è lecita, ma deve venir comunicata evitando attacchi diretti.

La fase dell’espiazione è una fase molto delicata: le scuse se vengono espresse prematuramente rischiano di essere inefficaci; c’è la necessità che il dolore del partner tradito debba venir accolto e compreso dal coniuge che ha tradito per riuscire ad andare oltre.

La seconda fase prende il nome di sintonizzazione e può prendere il via solo quando le domande del partner tradito sono esaurite, quando ci si sente di non aver più nulla da chiedere. Questa è la fase che permette di andare oltre il tradimento e di focalizzarsi sui problemi presenti all’interno della relazione. Ovviamente si tratta di problemi che erano già presenti nella relazione.

È proprio questo il momento in cui ci si accorge che “ci vogliono due persone perché il matrimonio entri in crisi” (J. S. Gottman n e J. M. Gottman).

In questa fase è necessario aprire le porte alla possibilità di “un secondo matrimonio”, di una relazione con nuovi presupposti. L’obiettivo infatti è aiutare i partner a sintonizzarsi con i bisogni dell’altro, ad accogliere in modo empatico i vissuti e i sentimenti altrui.

Quando la gestione dei conflitti tra i coniugi migliora, riprendendo a conoscersi meglio e condividendo nuovi modi di entrare in contatto, è possibile passare, allora, alla terza fase: l’attaccamento.

In quest’ultima fase deve far ritorno anche un’intimità fisica, probabilmente annullata quando il tradimento aveva  distrutto la fiducia nell’altro.

Se la Psicoterapia ti permette di “toccare con mano” il cambiamento, tutto questo appare ancora più evidente quando si lavora con le coppie.

“Le persone impegnate in una relazione possono cambiare. Talvolta hanno bisogno di venire a conoscenza di possibili alternative alle proprie antiche pratiche distruttive” (J. S. Gottman n e J. M. Gottman).

 

 

Bibliografia:

“Dieci principi per una terapia di coppia efficace” di J. S. Gottman n e J. M. Gottman, Raffaello Cortina Editore, 2019

Dr.ssa Sonia Allegro