SE IL PROBLEMA SONO LA MATEMATICA, O LO STUDIO?

La Matematica non ha mai fatto male a nessuno, ma gli insegnanti di Matematica sì. Sono tante le persone che ritengono di non essere portate per la Matematica o comunque di non avere attitudini. Così possono giustificare i brutti voti alle superiori e l’eventuale scelta di una facoltà universitaria con zero Matematica.

In realtà, i problemi con la Matematica possano essere collegati con due differenti fonti. Può trattarsi di una difficoltà sulla materia, che può essere facilmente risolta con il supporto di un buon insegnante che possa facilitare il recupero di tutte le lacune. Tale insegnante sarà estremamente paziente, non darà nulla per scontato e agirà in modo personalizzato e specifico.

Talvolta però dietro i problemi con la Matematica ci sono delle difficoltà a livello psicologico. E allora ci vuole lo psicoterapeuta. Ma non c’è problema, perché l’Associazione E.C.O. può soddisfare entrambe le esigenze: la prima con il servizio di ripetizioni low-cost e la seconda con il progetto di psicoterapia low-cost.

Peraltro non esiste un unico metodo per insegnare Matematica. Spesso gli studenti ritengono che si tratti di una disciplina che viene trasmessa sempre nello stesso modo, magari perché i loro insegnanti spiegavano la materia in modo dogmatico, ovvero “è così e basta”, come se fosse una religione. Ma la Matematica è una scienza, e – come tutte le scienze – è in continua evoluzione: anche in matematica vengono via via elaborati nuovi strumenti, migliori o comunque più precisi rispetto ai precedenti. Tuttavia, a differenza di altre discipline – ad es. nessuno oggi vorrebbe un vecchio telescopio, in quanto è decisamente più desiderabile quello di ultima generazione, che è più potente, più automatizzato e regala maggiori soddisfazioni – la matematica è come il maiale, nel senso che non si butta via niente. Mi spiego meglio: tutto ciò che è stato dimostrato vero viene tenuto, fino a quando non viene dimostrato falso. Quindi la matematica si accumula sempre di più e diventa un insieme di cose che comunque – prima o poi – possono servire.

A maggior ragione serve un metodo che non dia per scontato tutto ciò che c’era prima, magari Euclide o Pitagora o qualcosa che avete studiato alle medie. Inoltre l’atteggiamento corretto non è quello dogmatico, ma quello che porta lo studente a ragionare, a far domande, a capire e ad avere nuove idee. Ad esempio, non partiamo dalle formule. Prima vengono i concetti: intendo dire che tutti sappiamo che il tagliaerba è una macchina per tagliare l’erba, ma quanti sanno a cosa serve un logaritmo? Perché é stato inventato?

Solo dopo che abbiamo chiarito il concetto possiamo passare ai simboli e infine alla combinazione di simboli che è quella che in generale chiamiamo formula. Poi dobbiamo capire come e quando applicare la formula e da quali pezzi è costituita e se possiamo smontarla per ricavare qualcos’altro.

Proviamo invece a ricercare insieme quali aspetti psicologici intervengono nello studio. Lo studio prevede un’attività di comprensione, di apprendimento, di memorizzazione e di applicazioni. Tutte queste funzioni richiedono: tra le altre risorse, tempo, concentrazione e motivazione.

Ma che succede se ci scontriamo con una difficoltà e non capiamo un argomento, non riusciamo più a studiare, o abbiamo preso un brutto voto o una bocciatura? In questi casi, generalmente la nostra attenzione si focalizza proprio sulla difficoltà, con lo scopo di volerla superare. Tuttavia può così succedere di perdere di vista quello che è il nostro obiettivo. Diventa essenziale quindi riuscire a riscoprirlo e non è un compito così difficile, se ci si pone la domanda giusta: “Perché sto studiando?”. Più complesso può essere dare una risposta, ma questo ci permette di capire se le difficoltà di studio e di concentrazione sono situazionali e specifiche, se si può invece ipotizzare un disturbo d’ansia, che rende faticoso stare sui libri o un calo motivazionale che ci porta a vagare con la mente mentre stiamo studiando.

Non basta il desiderio di superare un esame per avere voglia di studiare, non ci rende efficaci e la nostra performance si abbassa proprio perché le risorse sono indirizzate nella direzione sbagliata, cioè togliere l’ostacolo. La voglia di studiare deve essere ancorata a qualcosa di più profondo e personale, alla nostra curiosità, al desiderio di apprendere e al nostro sogno di sentirci realizzati: in questo modo le nostre risorse non sono più focalizzate sulla difficoltà, ma su noi stessi.

Il supporto psicologico, sfruttando la relazione psicologo-paziente, rende più veloce il processo che ci permette di capire la causa del blocco, riscoprire, rinnovare o modificare i propri obiettivi e di conseguenza imparare a gestire meglio i propri stati emotivi affinché diventino degli strumenti in più a nostra disposizione.

Dopo che tutto ciò è chiaro, allora sarà possibile utilizzare tutti quegli accorgimenti che migliorano il nostro rendimento, come pianificare bene un programma di studi bilanciato, strutturato e personalizzato secondo le proprie caratteristiche e necessità, in modo che il nostro stato psico-motivazionale si mantenga al massimo.

Mi permetto di chiudere ricordando quanto sosteneva Einstein: “L’istruzione è ciò che ci resta dopo che ci siamo dimenticati tutto quello che ci hanno insegnato a scuola”.