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Strappare lungo i bordi come metafora dell’adolescenza. Riflessione personale in un’ottica psicodinamica

!   Non adatto a chi non ha ancora visto la serie perché potrebbe contenere spoiler.

Nel mio lavoro di psicoterapeuta mi è capitato di parlare in seduta di Strappare lungo i bordi e, come sempre, una delle cose che mi piace delle mie giornate è poter cogliere come le persone captino ed elaborino gli stimoli in modo diverso, soggettivo, e spesso in relazione al proprio mondo interno.

C’è chi si è riconosciuto in un male di vivere diffuso, chi ha colto le citazioni e i dettagli studiati al millimetro in ogni scena, chi non lo ha apprezzato, chi si è commosso, chi avrebbe voluto sapere di più.

Poiché lavoro con una fascia di età variegata, ho colto che le persone, a seconda della fase di vita in cui si trovavano, si sono identificate e sintonizzate con alcuni degli aspetti che vengono trattati o solo sfiorati.

Ho deciso di scrivere questo breve articolo per cogliere una sfumatura relativa all’adolescenza e al processo, a volte doloroso, di costruzione della propria identità in relazione ai contenuti di questa serie. Chiaramente, e con mio dispiacere, non posso sapere se l’autore sarà d’accordo con questa personale lettura ed interpretazione, ma, come i miei pazienti, decido di sintonizzarmi su una sfaccettura tra mille, senza pretendere che sia l’unica possibile o quella corretta.

Il titolo in primis mi ha colpito e rimandata alle immagini, alla forma delle forbici, delle forme preconfezionate e alle guide; poi il mio pensiero è volato all’ideale dell’Io e alla definizione di Winnicott di Vero e Falso Sé nei termini che seguono.

L’Ideale dell’Io si riferisce a quell’istanza della personalità in cui convergono il narcisismo, inteso come idealizzazione dell’Io, le identificazioni con i genitori e gli ideali collettivi; esso rappresenta un ideale verso il quale il soggetto tende. L’ideale dell’Io è una formazione psichica parzialmente indipendente che rappresenta un punto di riferimento per l’Io. Quest’ultimo valuta, misura e modula le proprie realizzazioni proprio a partire da questo e proietta in avanti il proprio ideale sostituendo il narcisismo dell’infanzia in cui egli stesso era il proprio ideale.

Secondo Winnicott il Vero Sé è il “gesto spontaneo”, l’idea personale, il sentirsi reale e creativo mentre il Falso Sé è una protezione nei confronti di un ambiente che si è rivelato inadeguato ad anticipare e soddisfare il bisogno del bambino causando frustrazione.

In condizioni ottimali, l’infanzia è caratterizzata da sicurezza, il mondo del bambino è stabile, prevedibile, le figure di riferimento come genitori e insegnati costanti e affidabili, ma, sotto le spinte della crescita e la nascita delle nuove istanze, questo paradigma può subire dei violenti stravolgimenti. In condizioni sfavorevoli, il bambino prima e l’adolescente poi, si trova a dover rinunciare all’autenticità in favore di un adattamento che tuttavia, sotto le spinte della crescita, rischia di crollare originando uno stallo e, forse, un break down. La sensazione di stallo e quindi di arresto evolutivo può generare un profondo dolore, i compiti evolutivi che erano stati messi all’ordine del giorno non sono soddisfatti e il futuro, prima idealizzato e pensato roseo, non esiste più.

Il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, infatti, può essere turbolento: crolla l’onnipotenza infantile, si incontra la caducità propria e del mondo, si scopre che i genitori e gli adulti significativi non sono supereroi, ma donne e uomini fallibili, che non conoscono tutto, ma che si arrabattano anche loro nel miglior modo possibile. Venute meno le certezze esterne, lo sguardo si volge al Sé e sorgono le domande: “Chi sono? Se non sono il bambino prodigio che avevano decantato mamma e papà, se non sono lo studente preferito della maestra, se non sono l’atleta che mi avevano promesso che sarei diventato, allora chi sono?”.

Zerocalcare sembra parlare della fatica delle proiezioni che provengono dall’esterno, degli stereotipi sociali che si abbattono sul singolo e che possono far sentire inadeguati e a volte “rotti”. Se si dà voce alla parte autentica di sé, cosa resta?

Lo psicoterapeuta Charmet sottolinea quanto l’adolescente senta di avere dei compiti evolutivi da svolgere. Questo significa che sente l’esigenza di dover fare, pensare o realizzare qualcosa di importante per sé, qualcosa di così significativo ed irreversibile tale da dare una svolta alla propria vita e che le dia importanza. La finalità è quella di sentire di aver fatto un salto di qualità, ma cosa accade se il processo si blocca? Se non si ha una direzione specifica, se le risorse si rivelano insufficienti e se l’angoscia diventa opprimente? Trovare la propria strada può diventare un compito difficile e accidentato.

Spesso, infatti, gli adolescenti sentono su di sè lo sguardo di ritorno colmo di domande in merito alla propria identità e valore e sentono la pressante richiesta sociale in merito alla necessità di sbrigarsi nel capire chi siano, quale siano i loro talenti e che si assumano responsabilità. Ma se dentro di sé esiste l’ipotesi e la paura di non essere altro che quel ragazzo annoiato, violento, “addormentato” allora il dolore non può che aumentare soprattutto nel momento in cui si prende consapevolezza che tutte queste voci, che si pensava provenissero dall’esterno, nascono in realtà dall’interno.

E allora noi andavamo lenti perché pensavamo che la vita funzionasse così, che bastava strappare lungo i bordi, piano piano, seguire la linea tratteggiata di ciò a cui eravamo destinati e tutto avrebbe preso la forma che doveva avere. Perché c’avevamo diciassette anni e tutto il tempo del mondo.

Se l’adulto nevrotico soffre per il “passato” e le ferite che esso ha comportato, l’adolescente spesso soffre a causa della mancanza di futuro e per il lutto di quella promessa non mantenuta. E qui “strappare lungo i bordi non è più possibile: bisogna fare il lutto di quella promessa, di quel futuro immaginato che non può più realizzarsi, di quel sé futuro non raggiungibile. Crescere significa allora costruire la propria linea tratteggiata, essere pronti ad aggiustarla quando le cose non vanno come desiderate e immaginarsene una nuova, magari non proprio identica a quella idealizzata. E forse quell’ideale dell’Io promosso dai genitori, dall’ambiente e da se stessi non può funzionare, quella sagoma deve essere personale, nuova, creativa. Qui può trovare spazio il desiderio, la speranza per la costruzione di sé, non solo intrisa di aspettative, ma frutto di un percorso personale e intimo a volte accidentato.

Zerocalcare parla anche della paura di crescere e dell’errore, quindi dello scacco evolutivo in cui i ragazzi a volte si trovano. Capita infatti che i ragazzi si ritirino, che decidano di non partecipare più alla vita, né scolastica né sociale/relazionale.

Per un sacco di tempo ho pensato che se non strappavo più un cazzo, se tenevo tutte le bocce ferme immobili, almeno non facevo altri danni.

Ma si tratta di una chimera: il tempo scorrerà lo stesso e la vita con esso infatti:

pure se non lo strappi quello si ciancica.

È un processo che non si può arrestare. Fare e non fare sono comunque due azioni, sono scelte che porteranno a delle conseguenze; il tempo scorre e subentra la consapevolezza della morte. Emerge così un forte dolore e la sensazione di inadeguatezza, della paura di presentarsi al mondo e dell’entrata nel mondo degli adulti cupi, grigi e privi di speranza o spessore.

Personaggio chiave e controverso è Secco, l’amico che tutti dovremmo avere. A prima vista sembra superficiale, ma quel gelato che offre come panacea di tutti i mali può forse rappresentare la cura dell’amico, la sua vicinanza e sintonizzazione silenziosa. Quello che propone non è solo passare oltre il dolore, ma introdurre un elemento consolatorio. Secco si dimostra l’amico sempre presente, forse afflitto anche lui dell’assenza di un posto nel mondo e di un futuro, si barcamena nell’oggi e offre una spalla a chi gliela chiede. Secco gioca a poker, scommette sul fatto che le cose andranno bene, in qualche modo scommette sul futuro, pensa che potranno capitargli buone carte e allora riscattarsi. Amico silenzioso e riservato conosce i pensieri e i segreti di tutti: davanti al gelato gli amici si aprono, forse in qualche modo si sentono consolati e accettati; senza pressioni ci si confida. Secco non offre solo l’oggetto, ma l’occasione dell’esperienza della condivisione.

L’uscita dall’adolescenza e l’entrata nel mondo degli adulti è rappresentata come un percorso tragicomico in cui leggerezza e profondità si mescolano. La morte, silenzioso filo conduttore che attraversa gli episodi, compare prepotentemente con tutto il suo dolore solo alla fine (non tratterò in questo articolo il tema del suicidio perché merita una riflessione a parte). La morte, simbolo e metafora del lutto per ciò che non è più possibile, lascia cicatrici visibili ed eterne e al tempo stesso lascia spazio per la guarigione della ferita (forse anche di quella narcisistica) che consente di proseguire il percorso senza dimenticare.

Dott.ssa Debora Tonello

Psicologa – Psicoterapeuta

 

BIBLIOGRAFIA

Lancini M., Cirillo L., Scodeggio T., Zanella T. L’adolescente. Psicopatologia e psicoterapia evolutiva. Raffaello Cortina editore 2020
Pietropolli Charmet G. Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi. Editori Laterza 2008.
Pietropolli Charmet G., Bignamini S., Comazzi D. Psicoterapia evolutiva dell’adolescente. FrancoAngeli 201
S. Freud, Totem e tabù e altri scritti 1912-1914, OSF, Torino, Bollati Boringhieri, 2000
Winnicott D. W. (1960). Sviluppo affettivo e ambiente. Armando: Roma.
Winnicott D. W. (1975). Dalla pediatria alla psicoanalisi. Feltrinelli: Firenze
Zerocalcare. Strappare lungo i bordi