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SELETTIVITA’ ALIMENTARE O ARFID?

A molti genitori sarà capitato, in qualche momento della crescita di loro figlio, di trovarsi di fronte al rifiuto di alcuni cibi e/o alla selettività nelle scelte e consistenze alimentari. Questo è spesso fonte di grande preoccupazione, soprattutto quando è associato a una crescita ponderale sotto i limiti della norma e a evitamenti generalizzati legati alla dinamica alimentare e conviviale. Ma quando questo può essere un campanello d’allarme e portare ad ipotizzare una diagnosi di ARFID?

Cos’è l’ARFID?

L’ARFID (sigla che sta per disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo) è un disturbo della nutrizione e dell’alimentazione inserito nel 2013 nel manuale diagnostico dei disturbi mentali DSM 5, caratterizzato da una persistente incapacità di soddisfare adeguati bisogni nutrizionali e/o energetici che portano a conseguenze clinicamente significative come:

– significativa perdita di peso o incapacità di raggiungere l’aumento di peso atteso (crescita ponderale normale dello sviluppo);

– carenza nutrizionale significativa;

– dipendenza dall’alimentazione enterale o supplementi nutrizionali orali per mantenere il peso o lo stato nutrizionale;

– marcata interferenza con il funzionamento psicosociale.

Una caratteristica importante è che la restrizione alimentare non è correlata alla preoccupazione per il peso o la forma del corpo e ciò contraddistingue l’ARFID dall’Anoressia Nervosa.

Si tratta di una diagnosi che comprende al proprio interno una grande variabilità di manifestazioni cliniche ma ciò che è certo è che, soffrire di ARFID, non significa essere schizzinosi o capricciosi.

Ad oggi, sono stati identificati tre profili che spiegano il motivo della carenza energetica e/o nutrizionale:

1- Apparente mancanza di interesse per il mangiare o per il cibo. Spesso sono presenti difficoltà emotive come preoccupazioni, ansia o tristezza che interferiscono con l’alimentazione e producono un disinteresse nei confronti del cibo.
2- Evitamento basato sulle caratteristiche sensoriali del cibo. Alcune persone, ad esempio, mangiano solo cibi con certe consistenze, colori, temperature o sono molto sensibili alle variazioni dei gusti. Evitano alcuni cibi perché, in anticipo, pensano di non tollerare certe caratteristiche di quell’alimento.
3- Preoccupazione relativa alle conseguenze negative del mangiare. La riduzione dell’apporto di cibo è dovuta ad alcune paure come: soffocare, vomitare, non riuscire a deglutire, causare diarrea, causare reazioni allergiche o causare dolori addominali o al petto.

I tre profili possono variare in termini di gravità, ma non si escludono a vicenda.

Il disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione del cibo (ARFID) può avere esordio nell’infanzia o nella prima adolescenza, ma in alcuni casi, anche in età adulta.

Che fare se ci si trova in presenza di ARFID?

Nonostante l’ARFID sia una diagnosi recentemente aggiunta, esistono già trattamenti efficaci. La psicoterapia cognitivo-comportamentale, unita al lavoro multidisciplinare che vede coinvolto medico e nutrizionista, è risultata in grado di aiutare i pazienti ad affrontare il problema, ottenendo effetti a lungo termine.

La terapia si focalizza, ad esempio, sul reinserimento dei cibi “nuovi” o “eliminati” o “fobici”, allo scopo di aumentare la varietà alimentare, parallelamente al raggiungimento di un peso stabile e a un adeguato apporto di nutrienti, in caso fosse insufficiente. Si procede, poi, a destrutturare la visione di “cibo nemico” insegnando a costruire pasti equilibrati e a reinserire gli alimenti con gradualità attraverso una desensibilizzazione e una esposizione graduale, facendo una lista degli alimenti esclusi e partendo da quelli che fanno meno paura o che creano meno problemi.

Le reintroduzioni sono inizialmente minime, in cui piccoli assaggi, adeguatamente masticati, permettono non solo di riprendere familiarità con gusti e consistenze, ormai abbandonate, ma anche di minimizzare eventuali reazioni avverse che si potrebbero presentare dopo una lunga eliminazione.

Un altro aspetto importante su cui si lavora è quello di effettuare i reinserimenti alimentari in ambienti e condizioni percepite come “sicure”, in modo da ridurre l’ansia associata al momento del pasto.

In conclusione, non tutti i comportamenti dell’infanzia legati al cibo devono destare preoccupazione, perché fanno parte del repertorio di esplorazione e crescita, ma è importante confrontarsi costantemente con il pediatra, intercettando il bambino già dalle prime manifestazioni di selettività/restrizione alimentare, soprattutto se appaiono curiose o inspiegabili: potrebbe trattarsi di ARFID e il disturbo, se trascurato, potrebbe strutturarsi nel tempo ed evolvere verso un quadro psicopatologico più severo.

Dott.ssa Giacone Giulia

Psicologa – Psicoterapeuta

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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